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Lectio divina su Gv 14,15-16.23b-26

PENTECOSTE (anno C)
Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra.
Lectio divina su Gv 14,15-16.23b-26
Invocare
Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce.
Vieni padre dei poveri, vieni datore dei doni, vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto conforto.
O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, sana ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna.
Leggere
15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. 23«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
Capire
C’è un legame stretto tra la festa di Pentecoste e quella di Pasqua. Il legame c’era già nell’Antico Testamento: la Pasqua ricorda agli Ebrei la liberazione dall’Egitto e la Pentecoste doveva significare il dono della legge al Sinai. Usciti dall’Egitto gli Ebrei vanno verso il Signore e al monte Sinai ricevono la legge e diventano un popolo. Per noi la Pasqua è ancora la celebrazione della liberazione, ma di una liberazione definitiva, perché la risurrezione del Signore è una vittoria definitiva sulla morte. La Pasqua conduce alla Pentecoste, che è frutto della Pasqua.
La Pentecoste è il dono dello Spirito che è donato a noi e che è la nuova legge. Se per Israele la legge fondamentale erano i dieci comandamenti, per noi è lo Spirito santo. Con il dono dello Spirito nasce il nuovo popolo di Dio che è la chiesa. La legge diventa una realtà interiore al cuore dell’uomo e diventa animata fondamentalmente dall’amore. Non basta conoscere la legge di Dio per osservarla, bisogna amarla. Per amare la legge di Dio bisogna amare Dio.
La Pentecoste non è in realtà un’altra cosa rispetto alla Pasqua, ma ne è il compimento, il frutto. Se Gesù è andato in croce, noi diciamo è andato in croce per salvare l’umanità. È vero. Questo si può dire esattamente in un altro modo: è andato in croce per donare lo Spirito. Cioè per donare la vita di Dio agli uomini, per donare l’amore di Dio agli uomini, per donare la novità di speranza agli uomini. Lo Spirito è tutto questo.
Quindi con la sua morte Gesù non ha guadagnato altro se non lo Spirito, non ha donato altro se non lo Spirito. Ha donato tutto, si può dire, ma tutto è concentrato in questo mistero grande dello Spirito, cioè della vita e dell’amore di Dio messo a disposizione degli uomini, perché gli uomini ne possano vivere; vivano di questa ricchezza che scaturisce dalla Pasqua del Signore.
Passi utili alla meditazione
1Gv 5,2-3; Dt 11,1; Sap 6,18-19; 1Gv 2,3; Gv 16,7; 1Gv 2,1; Gv 15,26-27; Lc 12,11-12; Gv 8,31-32; 12,16; 16,8-13; Ap 3,20; Ct 5,2; Lc 22,29-30.
Meditare
v. 15: Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. C’è un modo abituale di Gesù nel fare proposte: “se”. In questa particella è racchiusa la libertà dell’uomo; per primo gli offre il suo amore, desidera entrare in rapporto con lui in modo unico e personale; gli propone un legame intenso e irripetibile, per unirlo a Sé tramite l’amore,…..ma solo se anche l’uomo lo desidera!L’amore che Gesù chiede ai suoi non è un semplice amore di amicizia, un affiatamento umano. L’amore è l’unica spinta che possa ordinare l’uomo al compimento. Gesù pone questo amore a un livello molto più alto, collegandolo con la vita secondo la nuova legge da Lui promulgata e con l’invio dello Spirito Santo.
L’osservanza dei precetti del Signore costituisce il banco di prova dell’amore per il Figlio di Dio. “Entolài” è il termine con cui la Bibbia greca detta “Settanta” rende l’originale ebraico “Le 10 parole” (che corrispondono ai famosi “10 comandamenti”); ma nella concezione biblica la Legge-comandamento è soprattutto la rivelazione divina che conduce alla vita; i “comandamenti” sono “indicazioni per un cammino”, quello della salvezza, cioè quello che porta al senso e alla pienezza della vita; ecco perché, “se” si ama il Signore, ci si troverà incamminati nella via autentica.La frammentarietà, tipica dei nostri giorni che scivolano via come polvere sollevata dal vento, disintegra la bellezza di un amore che si muove dall’io al tu per coprire spazi sempre più ampi. L’amore vero va provato mediante l’obbedienza; non si tratta, infatti, di un sentimento vago ed emotivo, né si intende come pratica esteriore di norme e precetti; infatti non si tratta semplicemente dei precetti morali, essi implicano tutto un modo di vivere in unione d’amore con Lui.
v. 16: io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Al dono dello Spirito viene attribuita una duplice funzione: anzitutto quella di vincere la solitudine del discepolo nel mondo; poi quella di illuminare l’esistenza del discepolo attraverso un insegnamento perfetto. La venuta e la permanenza dello Spirito presso il discepolo è collegata strettamente all’amore; all’amore del credente per Cristo, all’amore di Cristo e del Padre per il credente.
Nel greco profano la parola Paràclito significa: assistente legale, avvocato; sia il termine che il verbo parakalein da cui deriva, può significare anche “esortazione”; nei LXX hanno il senso di “dare gioia, consolare” con riferimento esplicito ai beni dell’epoca messianica e al senso della gioia che ne deriva (cf Is 40, 1); nel NT si riferiscono all’annuncio profetico cristiano (cf Atti 2, 40; 1Cor. 14,3).
Lo Spirito sembra essere il sigillo di questo amore e, proprio in quanto forza di amore, in grado di produrre vicinanza e comunione. Per comprendere l’importanza di questa funzione dello Spirito, bisogna partire dalla percezione di una dolorosa solitudine che il cristiano è costretto a sperimentare nel mondo. Egli vive, infatti, nel mondo, ma non può essere del mondo (Gv 17, 15s); deve perseverare in una linea alternativa rispetto alla logica mondana. È naturale che si senta solo; è comprensibile che senta il bisogno di una presenza che lo conforti. La solitudine, infatti, il sentirsi “diversi” rispetto alla maggioranza, è sorgente di paura. Lo Spirito è perciò promesso per sciogliere questa paura e dare al discepolo la convinzione ferma di non essere abbandonato, di avere con sé la presenza del suo Signore, anzi la presenza di Dio stesso.
v. 23b: Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà. Il versetto riprende il v. 21 (non menzionato in questa celebrazione) menzionando il Padre. Osservare la Parola è sinonimo di osservare i comandamenti. In Giovanni i comandamenti si riducono al comandamento, alla osservanza della Parola, ad una proposta concreta e globale di vita da mettere in pratica. L’amore a Gesù si rivela nell’osservare la sua Parola, che abbraccia l’unità della rivelazione.
e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Il “verremo a Lui” riprende il “verrò a voi” del v. 18; qui il verbo è al plurale e indica che i due soggetti, Padre e Figlio, assicurano una presenza di assistenza e protezione attraverso lo “stare in”, “dimorare” in un “co-abitare” che realizza un’unione intima che trova il suo contesto nell’amore verso Gesù.Questo passo nel quale Gesù parla della sua venuta nel cuore dei discepoli insieme al Padre per far dimora dentro il loro cuore, completa la tematica dell’inabitazione della Trinità nel seno della comunità cristiana e dei singoli membri del popolo di Dio. L’amore trinitario è un amore inquieto, cerca spazi e luoghi, è un amore cercatore, che preme, dilaga, si fa strada verso il cuore.Gesù chiarisce che la sua manifestazione agli amici che gli dimostrano un amore concreto non avverrà in modo spettacolare ed esterno, ma si realizzerà nell’intimo delle coscienze, con la sua venuta assieme al Padre nel cuore dei discepoli che osservano la sua Parola. In questo modo i discepoli diventano tempio della Trinità.
v. 24: Chi non mi ama, non osserva le mie parole. Qui abbiamo una inclusione con 14,15, è la vera risposta a Giuda, anche se indiretta. Infatti, in questo versetto si ribadisce la tematica dell’amore, concretizzato nell’osservanza delle parole di Gesù. A colui che non ama Gesù è inaccessibile e quindi non gli si può manifestare.Ogni volta che non riuscirò a vivere la buona notizia del regno e diventerà un peso il solo pensare alle esigenze delle parole di Cristo, non cercherò scuse nelle situazioni e nel mio diritto alla libertà: un cuore povero di amore intristisce e muore perché perde la sua identità profonda. E come si può far ardere il cuore quando la vita lo ha lasciato? Chi non ama e non pratica i comandamenti non può far parte della vita di Dio. Il Padre e il Figlio non possono venire dove non c’è l’amore per Cristo e per i fratelli, amore che scaturisce dall’obbedienza alla Parola di Gesù, che è la stessa del Padre.
e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Gesù vuole sottolineare che la sua Parola, ascoltata dai discepoli, in realtà è del Padre che lo ha mandato. Il Padre di Gesù continua la sua stessa azione creatrice, attraverso opere che comunicano vita all’uomo. Ed è bello vedere questo movimento. In pratica vi è un amore continuo. Ora più l’amore è autentico, più rimanda all’altro e dall’altro ad altri ancora… è la festa del far posto, del farsi piccoli perché siano grandi gli altri, del guardare dentro la realtà per trovarvi la straordinarietà del compiuto.
v. 26: il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome. È la prima volta che in Giovanni il Paràclito viene indicato come Spirito Santo; egli prenderà il posto di Gesù e sarà inviato nel suo nome, cioè, secondo l’uso semitico, sarà in relazione costante con Gesù e ne continuerà l’opera perché ha una affinità intima, ontologica, con Gesù; agisce quindi in relazione con Gesù, al suo posto, con la sua autorità. , il nome di Gesù, in ebraico Jeshua, significa ‘il Signore che salva’, quindi lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Questo “ricordare”, significa “comprendere”, “«tutto ciò che io vi ho detto»”. Perché questo? Perché più si ama e più si permette allo Spirito di entrare dentro di noi, e più le realtà di Dio, un Dio amore, saranno visibili e le potremo comprendere.Gesù dichiara che lo Spirito Santo insegnerà ogni cosa ai credenti e ciò avverrà mediante il ricordo di quanto il Cristo ha rivelato.
Lo Spirito ha un’azione didattica orientata verso la parola di Gesù; non porterà una rivelazione personale diversa da quella del Cristo, perché svolge la missione di richiamare alla memoria dei discepoli la verità di Gesù, attraverso la sua azione interiore nel loro cuore e nella loro mente.
Lo Spirito Santo sarà in eterno con i credenti, anzi dimorerà in essi e darà loro l’intelligenza della fede, facendo capire la parola di Gesù dall’interno; quindi sarà il vero maestro interiore dei credenti: quando questi diventeranno il “discepolo amato” non ci sarà più da imparare perché lo Spirito sarà il volto svelato del Cristo.
Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
Non dobbiamo sorprenderci, e neppure spaventarci: il Figlio non è minore del Padre, ma non è se non dal Padre. non è disuguale al Padre, ma non è da se stesso. Non ha certo mentito quando ha detto: Chi non mi ama non osserva le mie parole. Ecco, qui ha detto che quelle parole sono sue; perché contraddirebbe a se stesso, affermando subito dopo: La parola che ascoltate non è mia? E forse fu per stabilire una certa distinzione che, dove disse: le sue parole usò il plurale; mentre dopo dice parola, cioè Verbo, e dice che non è sua, ma del Padre, volendo evidentemente indicare se stesso. In principio -infatti- era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, ed era Dio il Verbo. Non è egli Verbo di se stesso, ma di Dio, nello stesso senso che non è immagine di se stesso, ma del Padre, e che non è Figlio di se stesso, ma del Padre. È dunque a ragione che attribuisce al suo principio l’essere fatto a lui uguale, perché è da lui che ha ricevuto tale perfetta uguaglianza (Agostino, Comm. a Giovanni 76.5).
Per conoscere che ci è concesso il dono dello Spirito santo. I sensi per il nostro corpo sarebbero inutili se venissero meno le ragioni del loro impiego. Se non esistesse la luce o il giorno, gli occhi non avrebbero la possibilità di esercitare la loro funzione; le orecchie non avrebbero alcun compito da esercitare in assenza di parole e di suoni… Allo stesso modo lo spirito umano, se la fede non avrà versato in lui il dono dello Spirito, avrà sì la capacità di intendere Dio, ma non la luce per conoscerlo. Il dono che è in Cristo è dato interamente a tutti nella sua unità; pur restando a nostra disposizione ovunque, ci è concesso nella misura in cui ciascuno di noi vorrà accoglierlo; risiede in noi nella misura in cui ciascuno di noi vorrà meritarlo. Esso è con noi fino alla consumazione dei secoli, è il sollievo alla nostra attesa, è il pegno della speranza futura per l’azione miracolosa della sua grazia, è la luce delle nostre menti, lo splendore delle nostre anime. Questo Spirito santo perciò deve essere desiderato, meritato, e in seguito gelosamente custodito con l’osservanza scrupolosa dei precetti divini (Ilario, La Trinità 2.35).
Il Signore concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in Dio, diceva loro: “Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19).È questo lo Spirito che, per mezzo dei profeti, il Signore promise di effondere negli ultimi tempi sui suoi servi e sulle sue serve, perché ricevessero il dono della profezia. Esso discese anche sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell’uomo, abituandosi con lui a dimorare nel genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare nelle creature di Dio, operando in essi la volontà del Padre e rinnovandoli dall’uomo vecchio alla novità di Cristo. Luca narra che questo Spirito, dopo l’ascensione del Signore, venne sui discepoli nella Pentecoste con la volontà e il potere di introdurre tutte le nazioni alla vita e alla rivelazione del Nuovo Testamento. Sarebbero così diventati un mirabile coro per intonare l’inno di lode a Dio in perfetto accordo, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le distanze e trasformato il consenso dei popoli in una primizia da offrire a Dio. […] E come la terra arida se non riceve l’acqua non può dare frutti, così anche noi, semplice e nudo legno secco, non avremmo mai portato frutto di vita senza la “Pioggia” mandata liberamente dall’alto.Il Signore diede questo Spirito alla Chiesa mandando dal cielo il Paraclito su tutta la terra, da dove, come disse egli stesso, il diavolo fu cacciato come folgore cadente (cf. Lc 10,18). Perciò è necessaria a noi la rugiada di Dio, perché non abbiamo a bruciare e a diventare infruttuosi e, là dove troviamo l’accusatore, possiamo avere anche l’avvocato. Il Signore affida allo Spirito Santo quell’uomo incappato nei ladri, cioè noi. Sente pietà di noi e ci fascia le ferite e dà i due denari con l’immagine del re. Così imprimendo nel nostro spirito l’immagine e l’iscrizione del Padre e del Figlio, fa fruttificare in noi i talenti affidatici perché li restituiamo poi moltiplicati al Signore (Ireneo, dal trattato Contro le eresie, 3,17,1-3).
Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Dio presente nella mia vita: avverto questo dono di Dio?
Sono aperto a creare un mondo nuovo, nella linea dettata dallo Spirito di Dio?
Sono aperto e so riconoscere i “semina Verbi” (i semi del Verbo) anche al di fuori della mia comunità? Collaboro per la loro maturazione?
In questa nuova Pentecoste, so accogliere il dono dello Spirito con più consapevolezza e gratitudine?
Pregare
Raccogliamoci in silenzio ripercorrendo la nostra preghiera e rispondiamo al Signore con le sue stesse parole (dal Sal 29):

Ti esalterò, Signore, perché mi hai liberato
e su di me non hai lasciato esultare i nemici.
Signore Dio mio, a te ho gridato e mi hai guarito.
Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi,
mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
rendete grazie al suo santo nome,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera sopraggiunge il pianto
e al mattino, ecco la gioia.
Nella tua bontà, o Signore,
mi hai posto su un monte sicuro;
ma quando hai nascosto il tuo volto,
io sono stato turbato.
A te grido, Signore, chiedo aiuto al mio Dio.
Ascolta, Signore, abbi misericordia,
Signore, vieni in mio aiuto.
Hai mutato il mio lamento in danza,
la mia veste di sacco in abito di gioia,
perché io possa cantare senza posa.
Contemplare-agire
Lasciamo che lo Spirito d’Amore ci ricrei, che colmi le assenze della speranza e orienti i passi e i pensieri verso le vette della consegna perché niente possa distoglierci dal desiderio di tracciare i sentieri del bene nella boscaglia della dispersione.

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