Gli Elementi primitivi
Per comprendere e descrivere cosa sia la spiritualità carmelitana si richiede una riflessione che tenga conto come detta spiritualità del Carmelo si è formata non solo alle origini, ma anche nel suo sviluppo contenutistico nel tempo, in una progressiva compressione dei doni dello Spirito e con le acquisizioni dell’esperienza vissuta nel Carmelo stesso, con diverse accentuazioni e sottoposta a diversi sviluppi nel cammino storico.
a. Ideale di vita.
La realizzazione dell’ideale carmelitano alle origini avviene in un ambiente e con semplicità di strutture, che favorisce la solitudine e la preghiera, ma non esclude l’apostolato.
Il gruppo infatti non restringe la sua esperienza al solo aspetto di deserto e di solitudine, ma lo allarga all’ “obsequium Christi” vissuto in Terra Santa, al servizio (“solarium”) della stessa Terra Santa, come realizzazione della riforma della Chiesa, e pertanto deve sviluppare i contenuti della spiritualità del pellegrinaggio a Gerusalemme, che lo caratterizzano profondamente,in una linea esistenziale che si allarga agli altri, ed ha come frutti l’unione e la pace.
In una parola si può affermare che il gruppo degli eremiti latini che si riunisce al monte Carmelo si nutre non solo di elementi tipici dell’eremitismo (però del “tipo“ di quel tempo che, è bene sottolinearlo, è diverso da quello delle epoche seguenti), ma anche dei “valori” e del “vissuto” dei movimenti penitenziali e dei pellegrinaggi in Terra Santa, senza esclusione dell’attività apostolica.
Questo contenuto costituisce il “propositum” del primo gruppo, ancora laico e non ordine religioso, e si riflette nella “Norma di vita” ricevuta da Alberto, patriarca di Gerusalemme, come lettura fatta nella fede del loro progetto vitale in un contesto ricco di fermenti evangelica, ma anche di ambiguità.
Fondamento di tutto il discorso albertino è Gesù Cristo, il Signore dl luogo e l’Assoluto dell’esistenza umana.
E’ il senso che acquista l’espressione, di connotazione biblica (cf.2 Cor 10,5), “vivere in ossequio di Gesù Cristo” (Regola n.2), applicata alla mentalità dell’epoca medievale: pone infatti Cristo come inizio e fine di tutta la realtà e di tutta la vita carmelitana.
Questo cristocentrismo è assunto mediante strutture essenziali, lo sviluppo della spiritualità del cammino (cf; Regola nn. 10, 14,18-19), ponendo la propria vita ( l’ “obsequium”) al servizio delle istanze più vere e più profonde della Chiesa e del mondo.
Nel testo albertino il cristocentrismo è il tema dominante e centrale della vita degli eremiti latini (cf. dipendenza totale da Cristo, nn. 10 e 23, Cristo centro propulsore, n.14; agire sulla parola di Cristo n. 18-19; frutti del Risorto, nn.13-14 ecc.). Questo cristocentrismo si pone , seppur in modo embrionale, in chiavi trinitaria (cf.nn. 2, 11, 18-19, 20, ecc.).
b. La struttura dinamica dell’itinerario del Carmelitano.
Il progetto vitale è proposto a delle “persone” e quindi si presenta come itinerario di crescita di tutta la persona.
E’ possibile esaminando secondo quest’ottica le indicazioni e le prescrizioni della Regola, individuare la struttura dinamica di tale itinerario o cammino di crescita verso la pienezza della vita e la comunione con Dio e il suo mistero.
Gli elementi di questa struttura dinamica sono: L’atteggiamento dialogo di ascolto e accoglienza della Parola (nn. 10, 11, 14 ,24); la ricerca di Dio nel quotidiano basata sull’interiorizzazione (nn. 18-19; cf. anche spiritualità del cammino/pellegrinaggio); L’apertura al dialogo e alla familiarità con Dio, che conducono alla dimensione più profonda e totale della contemplazione, collocando la persona non solo in relazione dialogica e amorosa con Dio ma anche conducendola a vivere alla sua presenza e a fare tutto nel nome del Signore (è quanto emerge dalla: contemplatio Å® sapientia Å® conformatio, di cui nei nn. 10 e 18-19).
Questa dinamica presenta armonia equilibrata e interazione: tra contemplazione e azione (l’antinomia o dicotomia tra contemplazione e azione risulta del tutto estranea dall’insieme del “discorso” nel testo albertino e poi in quello innocenziano; è invece problematica posteriore nella vita dell’Ordine, in epoca moderna e fino ai nostri giorni); tra vita liturgica e preghiera individuale o privata [la quale, dal punto di vista filosofico e teologico, è sempre personale, come lo è la preghiera comunitaria] (nn.10-14); tra individuo-persona e comunità di persone (nn.10, 11, 12 , 14, 15); tra momento presente e futuro escatologica (cf.n. 24).
c. Nel solco della prospettiva monastica: il “ Vacare Deo”.
Tale dinamica viene dalla “Norma di vita” Albertina presentata fondamentalmente e prima di tutto con il carattere di continuità secondo la prospettiva monastica medievale e relativo modo di concepire il rapporto tra la preghiera e la vita monastica stessa.
Infatti, la preghiera prima di essere un prezioso esercizio è un atteggiamento dinamico nel senso del “ Vacare Deo” con carattere di continuità, e porta ad una totale dipendenza da Dio, cerco nella propria vita, in ogni situazione e aspetto.
Per questo il carmelitano, scrive Alberto, deve concretizzare tale atteggiamento, rendendosi sempre disponibile all’incontro con il Signore, lasciandosi prendere e condurre da Lui e godendo della Sua presenza cercata e sperimentata nella realtà della vita, nel quotidiano.
L’atteggiamento contemplativo conduce allo sviluppo più profondo della dimensione contemplativa dell’uomo fino alla più piena trasformazione del suo mondo relazionale: situarsi dalla parte di Dio, vedere la realtà con i suoi occhi e amarla con il suo cuore concretamente nel momento salvifico da Lui donato “in attesa del ritorno del Signore”.
Nella maturazione dell’esperienza carismatica, terminata con l’approvazione dell’unica Regola del Carmelo da parte di Innocenzo IV nel 1247, i Carmelitani da gruppo laicale di penitenti-eremiti si trasformano in ordine religioso vero e proprio inserito nella fraternità apostolica dei Medicanti.
In questa definitiva codificazione l’esperienza carismatica, nutrita dai valori maturati fin dall’inizio, si allarga alle caratteristiche dei Mendicanti, pur continuando una radicale coscienza della propria vocazione contemplativa.
d. Le figure ispiranti: Elia e Maria.
Come archetipi del loro ideale contemplativo, i carmelitani, fin dalle origini hanno scelto le due figure bibliche: Elia e Maria.
L’approfondimento di questa scelta – per porre come base dell’essere e dell’operare di tutti i carmelitani una forte e continua esperienza di Dio, radicata sulla Parola – conduce a imitare Elia il profeta “uomo di Dio” e sperimentare la dolcezza e la familiarità di vita con Maria.
Da Elia il carmelitano apprende non solo la profonda trasformazione mistica che realizza il cammino verso Dio, ma anche a fare della propria vita una profezia di preghiera, vissuta e incarnata in una serie di valore contemplati nell’esemplarità del profeta.
Nel De Institutione primorum monachorum – opera ritenuta la prima esposizione sistematica della spiritualità carmelitana e la cui redazione si deve a Filippo Ribot (1370), attraverso la lettura allegorico-mistica e simbolica del testo 1 Re 17,2-4, e anche con dipendenza dalla tradizione patristico-monastico, Elia viene presentato come l’uomo che condotto dalla Parola di Dio, inizia il cammino che lo porterà al cuore del mistero divino.
Tale cammino diviene paradigma della crescita spirituale, il cui senso è profondamente inserito nel mistero pasquale.
Nel rielaborare quasi alla lettera due testi di Cassiano, il testo suindicato enuncia così come meta della vita carmelitana il duplice scopo: il primo “che acquistiamo con il nostro lavoro aiutati dalla grazia di Dio: offrire a Dio un cuore santo e puro da ogni macchia attuale di peccato; l’altro ci viene concesso per puro dono di Dio: non solo dopo la morte, ma già questa vita mortale gustare in qualche modo nel cuore e sperimentare nella mente la virtù della divina presenza e la dolcezza della gloria superna”.
Viene così proposta come meta l’unione con Dio e utilizzando una terminologia posteriore – la contemplazione.
Vi si arriva attraverso quattro gradini: disprezzo totale della ricchezza, patria e parenti; rinuncia alla propria volontà e dominio delle passioni; purezza e solitudine del cuore e del corpo ; separazione da ogni peccato con possesso della perfetta carità.
L’autore pure insiste nell’affermare la necessità della purificazione da quanto, pur se lecito, ritarda o raffredda il fervore della carità: solo se giunge allo stato del puro amore, l’anima può godere Dio, anche se tale godimento contemplativo rimane sempre avvolto da oscurità ed è transitorio (e sembra nell’autore presenta l’esclusione di una visione facciale nella vita terrena).
Emergono così le linee matrici di una esperienza spirituale che segna la tradizione del Carmelo non solo nella sua fase medievale , ma anche in epoca moderna e fino ai nostri giorni.
L’esemplarità eliana non solo aiuta a vivere la preghiera, ma anche porta in contatto con Maria vergine: in lei non solo si scorge la Patrona e si contempla la sua “ via pulchritudisnis”, ma anche la sorella a motivo della verginità abbracciata ad imitazione di Elia, come gli stessi carmelitani hanno fatto.
Nella verginità di Maria scorgono l’atteggiamento della continua purificazione e della totale disposizione per l’unione con Dio e attraverso e simbolismi usati nei testi dei secoli XIV – XV vedono pure la sua dolce presenza fra loro.
e. La problematica del “Vacare Deo” nelle prime generazioni.
Con il passaggio in Europa, nelle trasformazione del gruppo da eremitico-cenobitico a ordine religioso mendicante, in gran voluta intenzionalmente dagli stessi Carmelitani e in minor parte dovuta anche ad altri fattori, la nuova generazione dei Carmelitani si è trovata di fronte alla necessita di avviare un equilibrio tra l’ideale originario e il compito nuovo del ministero pastorale nella struttura mendicante, che l’indirizzava fuori dalla tipologia monastica.
E’ un problema avvertito a livello pratico sia di vita sia di strutture.
Infatti emerge chiaramente dalla documentazione che abbiamo di quel tempo che il problema era quello di come equilibrare le struttura della propria fraternità mendicante con lo speciale accento contemplativo, una cosa che poteva solo attuarsi attraverso tentativi e accettando i rischi.
In particolare: la questione si poneva nei seguenti termini: L’Ordine deve preoccuparsi solo di favorire una forte esperienza di Dio, che di conseguenza diviene fonte dell’apostolato per chi vi è chiamato dallo Spirito, o deve preoccuparsi anche di aver e curare appositamente strutture apostoliche?
Recenti studi hanno chiarito come nei secc.XII-XIV l’Ordine del Carmelo vede la contemplazione – e questo viene ribadito nei documenti sia ufficiali (quali le Costituzione, atti di capitolo generali, ecc. ) sia di altro genere dell’epoca – non nella linea del “Contemplata aliis tradere” di marca domenicana, ma in una propria comprensione, nel solco monastico, cioè il “Vacare Deo”: la contemplazione come base e fondamento della propria esistenza, il contemplare con lo sguardo di Dio e l’amare, di conseguenza, con il suo cuore.
Quindi la contemplazione, o esperienza dell’Assoluto, come fonte di tutta la vita e principio di unificazione di ogni suo aspetto.
In questa visione della dimensione contemplativa della propria vita i carmelitani si trovavano a dover definire se l’attività apostolica fosse essenziale o solo parte integrante ma secondaria nella struttura dell’Ordine, senza con questo però negare l’apostolato in sé, al quale ciascuno poteva dedicarsi secondo la mentalità dell’epoca, qualora ne sentisse l’ispirazione e ne avesse la capacità.
E’ assai interessante notare come nei documenti del secolo XIII si ribadisca di continuo l’ideale contemplativo dell’Ordine, la contemplazione come parte essenziale,primaria e centrale, nell’esperienza vitale del carmelitano e del suo essere comunitario.
Il travaglio quindi della nuova generazione dei carmelitani in Europa nel secolo XIII non è stata una crisi d’identità, oppure l’antinomia e il dissidio contemplazione-azione,come sarà in epoche successive, ma piuttosto la questione del posto dell’azione stessa nella tipologia della loro vita.
Infatti dal punto di vista tipologico – come sottolineano recenti studi – i carmelitani risultano essere mendicanti con accento monastico, e in questa loro esperienza spirituale non vi è dualismo.
Nella Regola del Carmelo è assolutamente estranea qualsiasi antinomia tra contemplazione e azione. Tale dualismo nell’Ordine sarà una problematica successiva.
f. Esigenza del cammino contemplativo carmelitano.
In studi recenti vengono pure messe in risulto, nell’esperienza e nella riflessione dei Carmelitani delle prime generazioni, alcune esigenze caratteristiche del loro processo di interiorizzazione:
A. Stretti legami tra Montagna e “puritas cordis”: un itinerario- cammino: “offrire a Dio un cuore santo e puro da ogni macchia attuale”, è la via alla trasformazione nella carità.
La scienza della circoncisione spirituale si concretizza nella “puritas cordis” (ricordata nel testo della regola).
E’ noto come il tema profetico della circoncisione spirituale è diffuso nell’ambiente monastico dei secc. XII-XIII. Già in S. Girolamo la “ scientia circumcisionis ”risulta legata profondamente al Carmelo: è questa la scienza richiesta nella salite della montagna, per incontrare Cristo e la sua Parola.
Anche il prologo della Regola del Carmelo ricorda il tema del “cuore puro e retta coscienza”; lo stesso riferimento si ha nella bolla Ex officii nostri del 1229 di Gregorio IX, e in una di Innocenzo X risalente al 1240-42 circa.
Il tema si diffonde poi negli autori carmelitani in occasione del commento alla parola “Carmelitano”.
B. Legato con questo tema della “puritas cordis” sono i tipici valori dell’esodo: disprezzo, sobrietà di vita, penitenza, mortificazione, provvisorietà, semplicità.
Si ha radicalità nella purificazione, anticipando quasi la descrizione che S. Giovanni della Croce farà nel suo quadro illustrativo della Salita del Monte Carmelo.
Un accenno a questa purificazione si trova pure nel noto testamento spirituale attribuito tradizionalmente a S. Brocardo.
C. Il culto del deserto, già presente nella Norma di vita Albertina e raccomandato dagli autori carmelitani, porta al formarsi di una “mistica della cella” nella linea di Cassiano e di Vittorini.
Il deserto viene posto in relazione al tema del silenzio e della solitudine; si parla di silenzio interiore ed esteriore come necessari all’uomo interiore.
D. L’esempio più tipico di questa mistica della cella, con dipendenza dai Vittoriani si trova nel commento alla Regola del beato Giovanni Soreth.
In particolare, il deserto è essenziale alla contemplazione; è spazio all’iniziativa di Dio, mostra il nostro limite e la necessità di Dio. Si attua nello spogliamento – purificazione e nell’accoglienza – ascolto della Parola.
Si legano così anche i temi croce-morte, morte dall’egoismo per uscire da sé stessi al fine di incontrare Cristo.
E. Il dono settenario dello Spirito e le virtù teologali e cardinali (secondo il significato che si dava alle sette barre della cappa) alimentano il cammino-trasformazione mistica.
In questa maniera: la cappa viene vista come un segno di umiltà e della “puritas cordis” e la preghiera è considerata dono dello Spirito: è Lui che agisce e trasforma; è Lui che conduce.
Ciò quindi richiede fedeltà e accoglienza dei suoi doni.
Tratto da E. Boaga, Spiritualità Carmelitana, in Dizionario Carmelitano, Roma 2008.