“Ricevetti lo scapolare della Madonna del Carmine credo all’età di dieci anni e lo porto tuttora”: così scrive da Papa nel libro sulla propria vocazione di prete intitolato Dono e mistero. Nel 50° del mio sacerdozio, pubblicato dalla Libreria editrice vaticana nel 1996.
L’aveva indosso – lo scapolare – al momento dell’attentato del 13 maggio 1981.
“Non se ne volle separare nemmeno in sala operatoria” – ha scritto il postulatore della causa di beatificazione, don Oder Slawomir – e l’Abitino, come è anche chiamato, si macchiò di sangue.
Quello Scapolare insanguinato è stato portato, dopo la morte di Giovanni Paolo II, il 23 novembre 2005 nella chiesa parrocchiale di Wadowice, sua città natale ed è stato posto come una reliquia presso l’altare della Madonna del Carmine, dove Lolek – come il piccolo Karol era chiamato in famiglia – l’aveva ricevuto 75 anni prima.
Durante l’omelia di quella celebrazione l’ex provinciale dei Carmelitani, padre Szczepan T. Praskiewicz, che aveva ricevuto la reliquia dalla Segreteria personale del defunto Pontefice, ricordò questa confidenza avuta dal Papa: “Porto sempre lo scapolare che ho ricevuto nel giorno della mia prima comunione dalle mani del padre Silvestro”.
“A Wadowice – ha scritto il beato Wojtyla in Dono e mistero – c’era sulla collina un Monastero Carmelitano, la cui fondazione risaliva ai tempi di San Raffaele Kalinowski.
Gli abitanti di Wadowice lo frequentavano in gran numero, e ciò non mancava di riflettersi in una diffusa devozione per lo Scapolare.
Si andava dai Carmelitani anche per confessarsi. Fu così che, tanto nella Chiesa parrocchiale quanto in quella del Carmelo, si formò la mia devozione mariana durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza fino al conseguimento della maturità classica” (p. 37).
Così viva fu l’attrazione della spiritualità Carmelitana sul giovane Karol che egli pensò di farsi Carmelitano.
Passato da Wadowice a Cracovia, anche qui si trovò a frequentare un monastero di Padri Carmelitani che si trovava in via Rakowicka.
In contatto con quell’ambiente, lesse le opere di San Giovanni della Croce e di Santa Teresa di Gesù.
“Li frequentavo e una volta feci presso di loro i miei esercizi spirituali valendomi dell’aiuto di padre Lorenzo dell’Addolorata.
Per un certo periodo presi anche in considerazione la possibilità di entrare nel Carmelo.
I dubbi furono risolti dall’arcivescovo cardinale Sapieha, il quale – secondo lo stile che gli era proprio – disse brevemente: ‘Bisogna prima finire quello che si è cominciato’. E così avvenne”.
Il giovane Wojtyla era infatti da qualche tempo – all’incirca dal compimento dei 22 anni – alunno del “seminario clandestino” che il cardinale aveva ospitato presso la propria abitazione: clandestino a motivo delle restrizioni imposte dall’occupante tedesco.
Siamo negli anni della guerra e la prima messa di don Karol arriverà subito dopo il conflitto, nel 1946.
Ma pur divenendo prete diocesano, Wojtyla manterrà il suo legame ideale con il Carmelo, gli scritti dei mistici Carmelitani e lo Scapolare.
Venuto a studiare a Roma, due anni dopo l’ordinazione, diviene “dottore in teologia” all’Angelicum con una tesi intitolata Problemi di fede negli scritti di San Giovanni della Croce.
In decine di occasioni – incontrando i Carmelitani – Giovanni Paolo avrà modo di illustrare e raccomandare la devozione alla Vergine del Carmelo e ne tratterà in particolare nella Lettera sullo Scapolare del 25 marzo 2001 indirizzata alle due famiglie dell’Ordine Carmelitano.
In essa egli afferma che indossare lo Scapolare è come indossare un “Abito” ed entrare in qualche modo nella vita Carmelitana, dove si sperimenta una particolare “tutela” da parte della Madre di Dio.
La lettera si conclude con queste parole: “Anch’io porto sul mio cuore, da tanto tempo, lo Scapolare del Carmine”.
di Luigi Accattoli – tratto da La Madonna del Carmine n°3/2011
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