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LECTIO: VI DOMENICA DI PASQUA (C)

Lectio divina su Gv 14,23-29
Invocare
O Dio, che hai promesso di stabilire la
tua dimora in quanti ascoltano la tua parola e la mettono in pratica, manda il
tuo Spirito, perché richiami al nostro cuore tutto quello che il Cristo ha
fatto e insegnato e ci renda capaci di testimoniarlo con le parole e con le
opere.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
23 Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama,
osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non mi ama, non osserva le mie parole;
e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25 Vi
ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26 Ma il Paràclito, lo
Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e
vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27 Vi lascio la pace, vi do la mia
pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore
e non abbia timore. 28 Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da
voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre
è più grande di me. 29 Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando
avverrà, voi crediate.
Silenzio meditativo: Ti lodino i popoli, o Dio, ti
lodino i popoli tutti.
Capire
Il brano del Vangelo fa parte del
“discorso di addio” di Gesù ai discepoli. Esso costituisce l’epilogo del
discorso nella sua prima redazione (Gv 12,31-14,31).
La pericope ci riporta al momento
immediatamente precedente all’ora della Passione del Signore, al momento della
Cena Pasquale. È un momento di grande intimità tra Gesù e i suoi discepoli e la
liturgia desidera farci coglierne le suggestioni che spesso, per una lettura
affrettata, non sono percepite. Siamo alla conclusione del primo discorso
d’addio del vangelo di Giovanni. Gesù annuncia il suo commiato, riassume il
senso della sua missione e prepara i discepoli all’impegno che li attende.
Presentando la sua morte e risurrezione come un “viaggio”, Gesù anticipa che
non sarà più in modo fisico presente tra i suoi. Questo “viaggio” è necessario
per compiere il disegno del Padre: introdurre l’umanità nella famiglia di Dio,
nella vita trinitaria. Inoltre è un duplice ritorno: ritorno al Padre, da dove
era venuto per incarnare il progetto del suo amore; ritorno tra i suoi, anzi
“nei” suoi, in una presenza nuova che è quella dello Spirito.Questi testi,
anche se nel vangelo di Giovanni sono collocati prima della passione di Gesù,
sono stati scritti dopo la sua risurrezione. Ed è proprio alla luce della
Pasqua del Signore che noi dobbiamo leggere questi testi. Noi viviamo la
dimensione di un Cristo glorioso, di un Gesù che ha già vinto la morte.
Meditare
v.
23: Gli rispose Gesù
Gesù risponde all’apostolo Giuda Taddeo
(cfr. v. 22) che interpreta erroneamente le parole di Gesù nella prospettiva
messianica allora corrente, secondo cui il Messia avrebbe dovuto rivelarsi a
tutto il mondo e non a un ristretto gruppo di discepoli.
«Se
uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà
Gesù, riferendosi alla custodia della
Parola, di cui ne è testimone la Sacra Scrittura, rileva per la terza volta il
rapporto molto stretto tra la Parola e l’amore. Infatti, la Parola non fa altro
che indicare questo tipo di rapporto di amore con Lui. Per conseguenza, la non
osservanza della Parola dice il non amore per il Signore.
Osservare la Parola o esserne custodi
significa renderla efficace nella forza dello Spirito. È lo Spirito che la
rende viva, che la rende intima; la rende efficace, secondo l’azione dello Spirito
del Signore. Parola e Spirito devono andare insieme, perché la parola senza lo
Spirito rimane vuota, lo Spirito senza parola rimane senza contenuto,
anarchico, non ha forma. Perché, come abbiamo detto, la forma dello Spirito è
Gesù Cristo, il volto dello Spirito è il volto di Gesù, non è un altro volto. È
quella realtà che è Cristo, che diventa viva e che diventa esperienza e
interiorizzazione nel cristiano. Allora parola e Spirito devono andare insieme.
e
noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.
Il luogo della dimora di Dio, nella
tradizione biblica, era la “tenda”, il “tempio”, “Gerusalemme”. In Giovanni la
dimora di Dio è l’uomo attraverso l’incarnazione di Gesù e il piano che Dio ha
realizzato con il mondo degli uomini. È questa l’inabitazione del mistero di
Dio in noi mediante la Parola.
I verbi venire a luiprendere
dimora
e poi la preposizione presso
di lui
, cercano di esprimere il rapporto tra lo Spirito e i discepoli. Non
è difficile porre tutto questo in relazione con quel legame che secondo il IV
Vangelo deve svilupparsi tra Gesù e i credenti. Pensiamo all’allegoria della
vite e dei tralci (Gv 15), che in quanto tali e nella capacità di fare frutto, rimangono
nella vite, anzi questo rimanere è reciproco. I discepoli rimangono nella
Parola di Gesù; la Parola di Gesù rimane nei discepoli; i discepoli rimangono
in Gesù; Gesù rimane nei discepoli.
L’essere custodi della Parola significa
diventare dimora del Padre e del Figlio. Infatti, il verbo “dimorare” esprime
il messaggio biblico dell’uomo dimora di Dio.
Ogni volta che ci accostiamo alla
Parola, avviene l’abitare di Dio in noi, nella nostra vita.
Dimorare presso di Lui significa
arrivare alla preghiera stessa di Dio, perché Dio è in noi; Egli è già
preghiera.
v.
24 Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non
è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Secondo uno stile ebraico, che si trova
per esempio anche nella presentazione del Buon Pastore, Gesù riconferma quanto
già espresso ripetendolo in modo negativo. Chi non ama non osserva, non
conserva le sue parole, l’amore differenzia il discepolo dal mondo. Il
messaggio è per tutti, infatti, il versetto sottolinea il passaggio dal singolare
al plurale.
Chi ama Gesù ascolta tutto quello che
Egli dice come una realtà unica, fonte di verità e di vita. Chi non lo ama
sente ciò che dice come un insieme di parole che non hanno collegamento tra di
loro, che sono solo noiosi precetti.
La parola che Gesù proclama non è sua ma
del Padre che è la fonte, il principio, l’inviante. Egli vive in una forte
comunione con il Padre, egli comunica agli uomini ciò che è del Padre, colui
che lo ha mandato nel mondo. Quindi chi ascolta il Figlio ascolta il Padre, chi
ama il Figlio viene coinvolto nella comunione di amore che c’è tra il Padre e
il Figlio.
vv.
25-26: Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi.
Il discorso qui ha una svolta. Questa è
la rivelazione comunicata nella sua vita terrena (cfr. Lc 24,6.44). Adesso il
Signore annuncia la venuta dello Spirito Santo che il Padre darà ai discepoli:
Egli è Colui che fa essere i discepoli nella Parola di Gesù e quindi li rende
dimora del Padre e del Figlio.
La Parola donata è straordinariamente
delicata. Il Signore dona la Parola, istruisce, comunica tutto ai suoi
discepoli. La Parola è un fuoco divorante, è un Amore travolgente, è una
cascata dirompente e la nostra capacità di accoglierla è molto limitata, per
questo Gesù aggiunge: il Paràclito, lo
Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e
vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Qui lo Spirito Santo porta il nome di
“Consolatore”, in greco Paràklètos, il «Vocato accanto», cioé
“che viene in aiuto all’imputato”, l’Avvocato nel processo finale
(cfr. Gv 16,7-11) contro il Maligno. Allo Spirito vengono attribuite le due
funzioni fondamentali del nostro essere chiesa: “insegnare e ricordare”, due
verbi che esprimono non solo una funzione intellettuale, ma vitale che fa
assimilare spiritualmente il significato di un discorso o di un’azione. Fare
memoria è azione dello Spirito. Quando nelle nostre giornate il passato scivola
via come qualcosa di perennemente perduto e il futuro sta lì quasi minaccioso a
toglierti la gioia dell’oggi, solo il Soffio divino in te può condurti a far
memoria. Memoria di ciò che è stato detto, di ogni parola uscita dalla bocca di
Dio per te, e dimenticata per il fatto che è passato del tempo.
v.
27: Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a
voi.
Insieme con l’invio dello Spirito viene
la promessa della Pace divina. A differenza dei Sinottici, Giovanni usa la
parola pace due volte nel contesto della passione (14,27 e 16,33) e due volte dopo
la resurrezione (20,19-21.26).
La pace viene considerata in una
prospettiva che è quella dell’imminenza dell’andarsene di Gesù. Al v. 25
troviamo: “queste cose vi ho detto quando
ero ancora tra voi”
. Mentre al v. 30: “non
parlerò più a lungo con voi perché viene il principe del mondo”.
Il porre la pace in questo contesto
vuole dire che c’è una pace che il mondo dà, ma non è la pace del Cristo. La
pace del mondo è fatta con compromessi, guerre continue, violenze, odio e
sopraffazione: è una ricerca di piaceri personali rivolti a dare gusto a sé e
che fa provare alla fine la più squallida solitudine e amarezza.
La pace del Cristo è ben diversa da
quella che dà il mondo: è la pace del realizzarsi delle promesse messianiche, è
la pace che raccoglie tutti i beni preziosi della vita e di ogni uomo. Il suo
«Shalôm» è una parola che salva, che va alla radice, all’origine della vera
pace. Tale pace non può che venire dal Cristo glorificato, dal Cristo che va al Padre, che dona la sua vita.
La pace che lascia il Signore sconvolge
la mondanità perché nasce dalla condivisione e dall’attenzione verso il fratello
che vive accanto, ed è una pace che nasce a volte dalle difficoltà accolte per
dar sollievo a chi è nel bisogno.
Non bisogna dimenticare che la pace che
dona Cristo, nonostante le persecuzioni, è legata a Lui e nella certezza della
sua vittoria: «io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).
Non
sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Insieme al dono della pace, Gesù
rassicura. I discepoli sono impauriti, per le tre predizioni che Gesù ha fatto
poco prima relativamente: per il tradimento di Giuda, la morte ignominiosa di Gesù,
per il rinnegamento di Pietro. A questo si aggiunge che Gesù sarà abbandonato
da tutti, meno che dal discepolo che egli amava. Il Signore però non
rimprovera, esorta. Il suo Amore è un Amore ricco di misericordia, si fa vicino
a loro, li conforta, sa che la sua crocifissione sarà per loro una grande
prova, li incoraggia. Egli è Colui che “vede l’affanno e il dolore, guarda
tutto e prende nelle sue mani, dell’orfano è il sostegno” (cfr. Sal 10,14).
Questi sono gli effetti collaterali della pace donata da Gesù: togliere dal
cuore ogni turbamento, ogni timore. Anzi, prima ancora aveva assicurato: “non vi lascerò orfani, ritornerò da voi”
(Gv 14,28; cfr. anche il v. 3).
I discepoli da impauriti diventeranno
coraggiosi, testimoni. E anche Pietro avrà la forza di testimoniare Gesù
arrivando fino ad accogliere la prova suprema della crocifissione.
v.
28: Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”.
Gesù conosce il cuore dei suoi
discepoli, sa che la separazione da lui li sgomenta e li aiuta a riflettere, ad
accogliere il compito che gli è stato affidato: di andare al Padre.
Già all’inizio di questo capitolo
(vv.1-3), Gesù aveva detto: “Non sia
turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella
casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a
prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò
e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io”.
Il Signore Gesù
va al Padre, la sua assenza è brevissima! Per tutti noi la sua partenza non
rappresenta una perdita ma un guadagno, solo se continuiamo a vivere di lui.
“Per me vivere è Cristo – dice san Paolo – e il morire un guadagno” (Fil 1,21).
 
Da Lui c’è l’origine della fonte
dell’Amore. Gesù è venuto, in obbedienza al Padre, a far ritrovare a tutta
l’umanità la somiglianza con Colui che ci ha donato l’esistenza nel Paradiso
Terrestre! Il Buon Dio che ci ha creato è Amore, e la somiglianza con Lui non
può essere che Amore.
Se
mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande
di me.
I discepoli devono rallegrarsi della
pasqua di Gesù. Se lo amassero veramente, cioè se credessero in Lui, tale
partenza non li getterebbe nel dolore, ma sarebbe per loro occasione di gioia.
È vero che questa pasqua comporta un
andarsene del Signore e quindi un’esperienza di solitudine per i discepoli. Ma
si tratterà di un’esperienza provvisoria, destinata a lasciar spazio a un
ritorno e a una comunione definitiva. Solo con il ricongiungimento al Padre la
vita di Gesù può raggiungere il suo riposo. Ogni desiderio umano che per paura
della sofferenza e del distacco volesse escludere la croce finirebbe per essere
un impedimento alla piena manifestazione della vita e della sua vittoria.
v.
29: Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Il versetto lo possiamo mettere in
parallelo col v. 1, quando Gesù invita a credere in lui in modo rinnovato e più
profondo: “Abbiate fede in Dio e abbiate
fede anche in me”
.
Gesù esorta a credere mettendo sullo
stesso piano del credere in lui e in Dio. Un parallelismo notevole ripreso nei
vv. 7 e 9 con il verbo conoscere e il
verbo vedere. Questo significa che il
Figlio possiede la stessa natura divina del Padre.
Questi verbi hanno accompagnato i
discorsi di addio di Gesù, che qui trovano la conclusione. Gesù ha detto ai
suoi discepoli tutto quello che sarebbe avvenuto, perché essi siano preparati
ai fatti. Davanti all’arresto, al processo e alla morte di Gesù si
disperderanno (tranne il discepolo che Gesù amava), quindi questo discorso non
li avrebbe aiutati ad essere fedeli nel momento decisivo della morte di Gesù.
Essi però capiranno più tardi, quando rifletteranno su questi avvenimenti.
Le anticipazioni di Gesù, gli eventi, l’esercizio
della fede e la presenza dello Spirito Santo aiuterà loro a riflettere e
comprendere in una nuova luce e ad essere capaci di una testimonianza forte che
li porterà al martirio.
La Parola illumina la vita
Quale valore e spazio ha lo Spirito
nella mia vita? Come custodisco la parola di Gesù nella mia vita di ogni
giorno? Lo invoco perché mi aiuti ad amare Dio e i fratelli?
Le mie scelte nascono dall’invocazione
allo Spirito e dall’ascolto della Parola?
Vivo con serenità la mia fede per
essere dimora del Padre e del Figlio, oppure diventa per me motivo di tensione?
Ho paura a dirmi cristiano? So gioire
del bene che vedo realizzarsi attorno a me, anche se proviene da altri?
Sono capace di vedere oltre i miei
sensi che sono anche io risorto e perciò spiritualmente nuovo?
Pregare
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo
volto;
perché si conosca sulla terra la tua
via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra. (Sal 66).
Contemplare-agire
Dio vuole prendere la residenza nel
nostro cuore, e noi lo riempiamo di tutto fuorché di Lui: diamo lo sfratto a
tutto ciò che ha residenza abusiva in noi per darla a Colui che solo, ne ha il
pieno diritto (Wilma Chasseur).

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