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LECTIO: XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)

Lectio divina su Lc 17,5-10
Invocare
O Padre, che ci ascolti se abbiamo fede
quanto un granello di senapa, donaci l’umiltà del cuore, perché, cooperando con
tutte le nostre forze alla crescita del tuo regno, ci riconosciamo servi
inutili, che tu hai chiamato a rivelare le meraviglie del tuo amore. Per Cristo
nostro Signore. Amen.
Leggere
5 Gli apostoli dissero al Signore: 6 «Accresci
in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di
senape, potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare»,
ed esso vi obbedirebbe. 7 Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il
gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»?
8 Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e
servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? 9 Avrà
forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10 Così
anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite:
«Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
Silenzio meditativo: Ascoltate oggi la voce del
Signore.
Capire
Nelle sue istruzioni ai discepoli e
alle folle che lo seguono lungo la strada, Gesù ha ripetutamente parlato delle
dure esigenze che comporta il seguirlo. Le possiamo riassumere in due
affermazioni: “Chi non preferisce me al padre, alla madre, alla moglie e ai
figli, ai fratelli e alle sorelle e perfino alla propria vita non può essere
mio discepolo” (14,26); e poi l’altra: “Chi non rinuncia a tutti i suoi averi,
non può essere mio discepolo” (14,33).
Ora non c’è più un discorso sulle
esigenze del vangelo, cioè sulle cose da lasciare e sugli impegni da assumere,
ma alcune parole sulle condizioni che le rendono possibili e sulle modalità che
le devono accompagnare. Queste sono due: la fede e l’umiltà. Per avere il
coraggio di seguire Gesù occorre la fede, e se Dio ti dà il coraggio di
seguirlo non vantartene.
Gli interventi salvifici di Gesù sono
sempre legati alla fede. E che tipo di fede bisogna avere? Anche se Gesù dice:
“La tua fede ti ha salvato”, è chiaro che non è la fede dell’uomo che salva, ma
la potenza di Dio. La fede però ne è la condizione, senza la fede anche la
potenza di Dio si annulla. Perché? Perché aver fede significa riconoscere la
nostra impotenza e, nello stesso tempo porre tutta la fiducia nella potenza del
Signore. La fede è il rifiuto di contare su di sé per contare unicamente sul
Signore.  E’ questo lo spazio interiore
necessario che il Signore vuole per donarci la salvezza e il coraggio di
seguirlo. Ma se la fede è tutto questo, allora è anche chiaro che non è
qualcosa che possiamo ricavare da noi o costruire da soli: anche la fede è, a
sua volta, un dono. E non resta perciò che chiederla, come hanno fatto i
discepoli: “Signore aumenta la nostra fede”. Lo ha fatto Gesù stesso nei
confronti di Pietro: “Simone, ho pregato per te, affinché la tua fede non venga
meno” (22,32).
All’insegnamento sulla fede segue la
parabola, esclusiva di Luca. Indirizzata agli apostoli, questa parabola avverte
i capi della Chiesa che essi non possono mai fermarsi e riposarsi nella
convinzione di avere già lavorato abbastanza.
Questa piccola parabola, non intende
descriverci il comportamento di Dio verso l’uomo, ma indicarci come deve essere
il comportamento dell’uomo verso Dio: totale disponibilità, senza calcoli,
senza pretese, senza contratti. Non si entra nello spirito del vangelo con lo
spirito del salariato: tanto di lavoro e tanto di paga, nulla di più e nulla di
meno. Dopo una giornata piena di lavoro, non dire “ho finito” e non accampare
diritti. Non vantartene e non fare confronti con gli altri, ma dì
semplicemente: ho fatto il mio dovere, sono soltanto un servo.
Meditare
vv.
5-6: Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore
rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape
I discepoli si rendono conto che non è
facile avere gli atteggiamenti che Gesù ha appena richiesto da loro: attenzione
verso i più piccoli (Lc 17,1-2) e riconciliazione verso i fratelli e le sorelle
più deboli della comunità (Lc 17,3-4). E questo con molta fede! Non solamente
fede in Dio, ma anche fede nella possibilità di recupero del fratello e della
sorella. Per questo, vanno da Gesù e gli chiedono di accrescere la loro fede.
Il verbo “accresci” può essere anche
tradotto con “accordaci” la fede. Si potrebbe mettere questo versetto in
relazione con Mt 13,31 e a quanto si dice a proposito del Regno dei cieli: (‘il
regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa. [..] Esso è il più
piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto è più grande degli altri
legumi…).
La nostra fede ha nel granello di
senapa la stessa dimensione del Regno di Dio. Un granello di senape è piccolo
come una pulce, minuscolo, quasi invisibile. Ma una volta seminato
velocissimamente cresce, e nell’arco di un anno quel piccolo seme può divenire
un albero anche di tre o quattro metri. La dimensione del granello di senapa
non è la dimensione minima richiesta, ma la dimensione massima richiesta.
Questo testo è di grande speranza per le nostre parrocchie. I movimenti
rischiano di essere sempre cose grandi, dove tutto riesce; difficilmente si
riconduce al granello di senapa la dimensione che hanno i movimenti. Il vangelo
va in un’altra direzione. La dimensione di piccolezza che la chiesa vive è in
realtà la dimensione necessaria che il vangelo ci chiede.
La risposta – se aveste fede – equivale
a dire che non è questione di quantità ma di autenticità della fede. La fiducia
nell’aiuto divino e l’aiuto divino stesso, quando ci sono, operano le cose che
sembrano le più difficili.
potreste
dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi
obbedirebbe.
Il gelso, è un albero secolare, può
vivere anche seicento anni, ha radici profonde, che si abbarbicano nella terra.
E’un albero molto difficile da sradicare, simbolo di solidità, di staticità, di
inamovibilità. E che un gelso si radichi nel mare, beh è alquanto difficile
(cioè impossibile)! Allora qui Gesù dice: “Se aveste un po’ di fede, di
fede vera, autentica, trasparente, nulla vi sarebbe impossibile, nessun
ostacolo potrebbe fermare il vostro cammino”. Nel vangelo troviamo spesso
frasi del genere: “Tutto è possibile per chi crede; la tua fede ti ha
salvato; chi ha fede sposta le montagne; tutto ciò che chiederete, credete e vi
sarà dato”. Se vuoi vedere la tua fede, la tua fiducia in Dio e nella vita
guarda a come reagisci di fronte agli ostacoli.
Gelso è anche la paura di cambiare e di
non sapere cosa accadrà poi; il timore di affrontare una paura; la paura di non
avere le forze per reggere; la paura di conoscersi e di guardarsi dentro; la
paura di affrontare chi temiamo o chi consideriamo superiori; la paura di
rimanere da soli che ci fa accattonare l’amore; la paura di essere impopolari;
un “salto” di vita che dovresti fare ma di cui sei terrorizzato; un
sogno da inseguire che tutti deridono; una malattia che ti si manifesta e di
cui hai paura, ecc. Ma basta un po’ di fede. Tu inizia; tu datti da fare; tu
mettiti in movimento e scoprirai che quella piccola fede diventerà enorme
(piccolo seme che diventa un albero enorme) e compirà l’impossibile.
vv.
7-9: Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà,
quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? Non gli dirà
piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi,
finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? Avrà forse
gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Per insegnare che nella vita della
comunità tutti devono essere abnegati e distaccati da sé, Gesù si serve
dell’esempio dello schiavo. In quel tempo, lo schiavo non poteva meritare
nulla. Il padrone, duro ed esigente, gli chiedeva solo il servizio. Non era
solito ringraziare. Dinanzi a Dio siamo come lo schiavo davanti al suo padrone.
Aver fede significa diventare
disponibili a Dio, ascoltare la sua parola così profondamente da venirne
trasformati, essere “trasparenti” alla sua volontà. Chi crede, dunque, non crea
ostacolo alcuno all’azione di Dio, non l’offusca, la lascia passare.
La fede lascia passare sempre e solo
l’azione di Dio attraverso di noi; non costringe Dio a fare quello che vogliamo
noi ma permette a noi di fare quello che vuole lui. Lo si vede bene dalla
piccola similitudine del servo che, dopo aver faticato e arato tutto il giorno,
rientra a casa.
Dopo aver servito tutto il giorno
diventerà forse padrone la sera? No; egli rimane pur sempre servo. Può sembrare
umiliante questo modo di immaginare il rapporto con Dio; e si tratta invece di
un rapporto liberante. Vediamo perché. Supponiamo che il nostro servizio fosse
“necessario” per la salvezza del mondo; non ne rimarremmo bloccati?
Ogni impegno diventerebbe un esame
pauroso, ogni errore si muterebbe in tragedia; siano rese grazie a Dio per il
fatto che la salvezza del mondo non dipende da una cosa così fragile e
variabile come la nostra volontà. D’altra parte, se non avessimo da servire, se
dovessimo solo stare a braccia conserte in attesa della salvezza di Dio, la
nostra vita diverrebbe meschina, senza sapore.
Invece possiamo e dobbiamo lavorare, ma
con la libertà di chi sa che il suo lavoro è assunto e valorizzato da un Dio
che è più grande di lui. Che il nostro lavoro venga qualificato “inutile” vuol
dire solo che su di esso non possiamo fondare pretesa alcuna; che non possiamo
contrattare con Dio la sua risposta al nostro impegno.
La fede è la tecnica per imparare a
servire Dio nel modo giusto. Chi la usa, permette a Dio di operare attraverso
di lui e diventa perciò strumento della salvezza di Dio. E siccome Dio vuole la
salvezza, chi ha fede introduce con il suo comportamento una forza di salvezza
nel mondo.
v.
10: Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato,
dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
Il servizio di Dio richiede la
sottomissione di un servitore. Il servizio che il servo (Gesù) ci rende è un
servizio che non ci fa sentire obbligati, è un servizio che ci libera. E questo
dovrebbe essere il servizio che ognuno di noi è chiamato a svolgere. Siamo
schiavi non necessari, cioè non arrechiamo profitto. Siamo coloro che, non
arrecando profitto, servono unicamente per dono.
Siamo servi inutili… Attenzione a
questa espressione che può portarci fuori strada. Siamo dei poveri servi, dei
servi senza utile. L’espressione evangelica vuole esprimere che il “servire”
non è qualcosa che si viene ad aggiungere alla condizione umana, come un
possibile merito, come una realtà superflua ed accidentale. L’essere creatura
dell’uomo, opera del Creatore, implica la disponibilità e la normalità
dell’essere messi a disposizione, dell’essere chiamati a servire. Un uomo che
non “servisse” avrebbe fallito la sua stessa identità, avrebbe perso la sua
vita, avrebbe perso se stesso. Colui, invece, che vive la sua esistenza proprio
come servitore, non fa altro che rispondere a quel disegno iscritto nella sua
stessa vita, nello stesso disegno divino che lo ha generato. Ecco perché non è
necessaria una ricompensa, ecco perché il servire non diviene motivo di
rivendicazioni. Tutto ciò che abbiamo ricevuto non lo meritiamo. Viviamo grazie
all’amore gratuito di Dio. L’evangelista Matteo, descrive Pietro che rivolge a
Gesù questa domanda: “Ecco noi abbiamo abbandonato ogni cosa e ti abbiamo
seguito, che avverrà di noi?” (Mt 19,27). Gesù risponde a questo modo di
pensare con la parabola degli operai della vigna (cfr. Mt 20,1-16).
Luca descrive il servo di Dio come
colui che compie il suo dovere e non ha il diritto di avanzare pretese nei
confronti di Dio, può solo dire con San Paolo: “non ho di che vantarmi se
annuncio il vangelo; è un dovere questo che mi è imposto, e guai a me se non
predicassi” (1Cor 9,16).
La Parola illumina la vita
Ripeto spesso nella preghiera: Signore, accresci la mia, la nostra
fede!”
?
Moltiplico gli atti di fede davanti a
ogni situazione personale, in particolare dove mi ritrovo debole e impotente?
Mi considero servo in ogni gesto che
compio vedendolo come un servizio d’amore a Lui presente negli altri?
Sono capace di fare della mia vita un
servizio senza aspettare la ricompensa?
Cosa suscita in me il termine «servo
inutile»?
Pregare
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra
salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli
grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci
ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere». (Sal
94).
Contemplare-agire
Lasciamo che la Parola illumini la
nostra vita.
  Apriamo le porte del nostro
cuore per scoprire quella piccolezza, “inutilità” che sta in noi per essere
capaci di piantare gelsi nel mare.


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