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LECTIO: IV DOMENICA DI QUARESIMA (Anno A)

Lectio divina su Gv 9,1-41
Invocare
O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra
redenzione, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso
impegno verso la Pasqua ormai vicina.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
1 Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo
interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato
cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in
lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di
colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può
agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò
per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco
7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato.
Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un
mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere
l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli
assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo
ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha
fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: «Va’ a Sìloe e
làvati!». Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli
dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il
giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche
i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli
disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo».
16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non
osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere
segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo
al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?».
Egli rispose: «È un profeta!».
18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse
acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva
ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi
dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero:
«Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda
non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo.
Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi
genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già
stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso
dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a
lui!».
24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero:
«Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello
rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci
vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli
occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché
volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo
insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè!
29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia».
30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove
sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori,
ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è
mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco
nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli
replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono
fuori.
35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse:
«Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io
creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te».
38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.
39Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo
mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino
ciechi». 40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli
dissero: «Siamo ciechi anche noi?». 41Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non
avreste alcun peccato; ma siccome dite: «Noi vediamo», il vostro peccato
rimane».
Silenzio meditativo ripetendo
mentalmente il testo cercando di ricordare quanto letto o ascoltato
Capire
Dopo la catechesi sull’acqua viva, questa domenica
l’attenzione è posta attorno alla luce, al vedere.
La pericope, ben inserita nel contesto, riprende le
tematiche del cap. 8 esposte nella disputa con i farisei, e preannuncia i temi
del cap. 10 sul buon pastore.
Il cap. 9 si apre con Gesù che esce dal tempio, dove ebbe un dialogo un po’ acceso con i Giudei, tanto acceso che essi avevano deciso
già prima di lapidarlo (cfr. 8,59). Ma Gesù si nascose e ne andò. Uscendo dal tempio
trova il cieco, gli ridona la vista e sparisce nuovamente.
I racconti di guarigioni di ciechi nei vangeli hanno la
funzione di mostrare che con Gesù i tempi messianici sono arrivati. Ai
discepoli del Battista, venuti ad accertarsi chi fosse veramente, Gesù ha
risposto citando Isaia “i ciechi vedono”. In questo brano si aggiunge
un altro significato: il cieco miracolato rappresenta la figura del credente
illuminato dalla fede. Giovanni racconta il miracolo facendolo precedere dalla
sua spiegazione: Gesù è la luce del mondo. Una luce che purtroppo può anche non
essere accolta: i farisei non lo vogliono riconoscere come proveniente da Dio e
diventano “ciechi”. Questa affermazione introduce il discorso del
buon Pastore, che occuperà gran parte del capitolo 10 e che si può considerare
una conseguenza dell’episodio del cieco nato. Tra le pecore che ascoltano la
voce del pastore vi è anche il cieco guarito. Negli intrusi che sono penetrati
nell’ovile si possono riconoscere i capi della sinagoga che hanno cacciato
l’ex-cieco.
La prospettiva giovannea abbraccia il mistero nella sua
totalità: venendo nel mondo la luce illumina oppure abbaglia, secondo la
capacità del singolo di accoglierla.
Meditare
v. 1: passando vide un uomo cieco
dalla nascita
Gesù sta passando. L’inizio di questo versetto ci
richiama ai fatti del cap. 8, dove Gesù rivelava la paternità di Dio. Il testo
in italiano forse non lo evidenzia, ma nel testo geco vi è una particella (o
congiunzione): “e”. Quindi Gesù si trova ancora nelle zona del tempio, vi è
ancora in atto la festa delle Capanne, che è la festa della benedizione di Dio,
dell’acqua, della luce, dei frutti, della pienezza della vita, Gesù passa e
vede. Vede un uomo. Questo passare e vedere di Gesù, in realtà, non è altro che
il modo di rivelarsi di Dio, il suo irrompere nella storia dell’uomo come
salvatore. Nel suo “passare” Gesù posa il suo sguardo, “vide un uomo cieco
dalla nascita”. Questo episodio è particolare. Solo Giovanni ne parla. Forse per
rendere più eccezionale il miracolo e per accentuare la sua portata simbolica.
Il verbo usato per esprimere il vedere di Gesù è
“orao”. Esso a differenza di un semplice vedere, esprime in pienezza i
significati del verbo: vedere in
profondità, conoscere, prestare attenzione
.
Inoltre, l’evangelista, pone nel cieco la sua attenzione come l’immagine dell’Israele cieco o accecato. Possiamo cogliere in
quell’uomo la nostra cecità. La nostra tenebra, perché tutti viviamo di questo. 
La tenebra che è il contrario della luce è sinonimo di non senso, è sinonimo
anche di morte, perché l’uomo senza senso ha perso la sua identità e invece di
agire per la vita agisce per la morte.
v. 2: e i suoi discepoli lo
interrogarono: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia
nato cieco?”.
Ora la situazione di cecità, di morte davanti a Dio
provoca una domanda. La domanda rispecchia una credenza giudaica che ogni
disgrazia fosse il castigo del peccato, e che i peccati dei genitori potessero
essere puniti nei loro figli (cfr. Es 20,5; Dt 5,9). Questa mentalità aveva
avuto dei critici autorevoli già nei profeti Geremia ed Ezechiele, ma
continuava ad avere un certo successo popolare. Il ragionamento rasentava
l’assurdo quando si trattava di malattie presenti sin dalla nascita, come nel
caso di questo cieco. In tal caso sarebbe stata la punizione per un peccato
compiuto dai suoi genitori, oppure si pensava che un bambino già nel grembo di
sua madre potesse peccare. L’intervento dei discepoli, permette a Gesù di
precisare.
L’AT esclude che il peccato dei padri potesse ricadere
sui figli, ed Ezechiele ribadisce e sottolinea questo con fermezza (Ez
18,1-32), ribadendo la Volontà del Signore: «Avrò forse Io piacere della morte
dell’iniquo – parla il Signore Dio! – o piuttosto che egli si converta e
viva?».
In altro contesto, Gesù stesso avverte che gli uccisi
dalla strage fatta da Pilato nel tempio, o i travolti dalla torre di Siloe, non
erano più colpevoli di altri (Lc 13,1-5), richiamando però alla conversione.
La domanda assomiglia più o meno alla nostra: che colpa
c’è, che colpa ho, perché avviene questo male? Cosa ho fatto?
v. 3: Rispose Gesù: Né lui ha
peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di
Dio.
La risposta di Gesù è lapidaria. Esclude la teoria
popolare, ma al tempo stesso non cerca di dare una spiegazione sull’origine del
dolore innocente e applica il detto di Ger 31,29-30.
L’uomo è chiamato ad essere tale, a cambiare i suoi
desideri e non a pensare che il bene è il potere, dimenticando i valori per i
quali agisce e vive.
Gesù, dicendo che non ha peccato né lui né i suoi
genitori, fa una grande affermazione e dice addirittura che in questa
situazione di male si manifesta l’opera di Dio in lui. E qual è l’opera di Dio?
Liberare l’uomo dal male, dall’oppressione, dall’ingiustizia.
Questa è l’opera di Dio.
vv. 4-5: Bisogna che noi compiamo
le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando
nessuno può agire.
Qui viene usato il plurale. Un primo pensiero rievoca
quanto Gesù ha già espresso: “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero”
(5,17), viene così giustificato anticipatamente il suo lavorare in giorno di
sabato.
Un secondo pensiero, è che evidentemente il discorso è
allargato ai discepoli, incaricati di continuare l’opera di Gesù sulla terra
(cfr. 14,12). Gesù precisa che deve agire “finché è giorno”, cioè per
quanto dura la sua vita terrena, in cui deve compiere la missione affidatagli
dal Padre.
Finché io sono nel mondo, sono la
luce del mondo.
Questo versetto ripete 8,12 e allude al Cantico di Is
42,6 e 49,6 dove il “servo di Javhè” si proclama luce delle nazioni, cioè del mondo
intero.
Gesù inizia a rivelarsi, rivela la sua divinità, il suo
essere da Dio e con Dio, la sua origine e il suo mandato. Egli trasmette
l’essenza della vita divina (la luce) e la comunica –illuminazione- a coloro
che, credendo in lui, ricevono la vita eterna, la vita divina. Egli è la luce
del mondo (1,4.9; 8,12; 12,35). Il Padre interviene per mezzo del Figlio. Egli
è Colui che rischiara le tenebre manifestando l’efficacia della luce.
La presenza di Gesù trionfa sulla tenebra in cui si
trova il cieco nato. La sua tenebra è la situazione di ognuno prima del vero
incontro con Cristo.
Già l’Evangelista nel Prologo definì il Verbo come “la
luce che brilla nelle tenebre” (1,5). Qui, presentando il cieco nato, sembra
risalire a questa immagine. Il cieco non chiede la guarigione, è un cieco nato,
non può domandare ciò che ignora. Così l’umanità avvolta nelle tenebre non ha
invocato Dio. E’ stato Lui stesso a venirle incontro.
v. 6: Detto questo, sputò per
terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco
Un gesto insolito per poter guarire dalla cecità. Forse
appesantisce o peggiora la sua cecità con la fanghiglia.
Qui ricordiamo la creazione. Il Creatore prende del
fango e lo modella a corpo umano, cui dà poi vita con il suo alito vitale(cfr.
Gen 2,7).
Gesù porta a compimento la creazione primitiva in vista
della nascita dell’uomo perfetto: plasma l’uomo (l’Adamo, il terroso) nuovo con
la terra e lo sputo e lo sputo è qualcosa di intimo che viene dal di dentro, è
simbolo dello Spirito. Gesù aveva detto di essere la sorgente dell’acqua viva,
dello Spirito, ora ne fa dono, lo mette davanti ai nostri occhi perché
potessimo vivere secondo il progetto originario di Dio.
v. 7: e gli disse: “Va’ a
lavarti nella piscina di Sìloe” – che significa Inviato. Quegli andò, si
lavò e tornò che ci vedeva.
È il primo atto battesimale posto negli occhi. La piscina di Siloe, a sud-ovest della città vecchia di Gerusalemme, si trovava allo sbocco di un tunnel fatto costruire da Ezechia (verso il 704 a.C.) per portare le acque del torrente Ghicon all’interno di Gerusalemme.
Dice
Paolo ai Galati: “io ho dipinto davanti ai vostri occhi Gesù Cristo Crocifisso” (Gal 3,1). Il cieco è guarito solo per la sua Parola:
«Va e lavati», che richiede una fede obbediente.
Siloe significa inviato. Ora chi è l’inviato, sì il
cieco ma il vero inviato è Cristo (cfr. 5,36-37). Quindi l’uomo cieco è inviato
a Cristo stesso. Gesù manifesta che la sua missione è quella di liberare l’uomo
dalle tenebre. Solo a Siloe il fango cade e il cieco nato acquista la vista.
Il cieco obbedisce senza discutere agli ordini di Gesù.
Poi torna “vedendoci”. Altre spiegazioni sul miracolo avvenuto non ne abbiamo.
Ora il cieco nato vede, anche lui ha, come san Paolo,
questo “dipinto” che è chiamato per sempre a tener davanti agli occhi. Perché ciò che tieni davanti agli
occhi ti entra nel cuore e diventa la tua vita. 
Questo vuol dire diventare illuminati. 

vv. 8-9: Allora i vicini e quelli
che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: “Non è lui
quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?”. Alcuni dicevano: “È
lui”; altri dicevano: “No, ma è uno che gli assomiglia”.
Inizia un primo processo all’uomo con i vicini e i conoscenti.
Ciò ci dice che siamo relazione e soggetto a quanto l’altro sa di noi. Il
richiamo al passato “era seduto e mendicava”, dà ulteriore rilievo al
cambiamento avvenuto. Spesso, come accade nel brano, restiamo rilegati,
prigionieri del passato.
Ed egli diceva: “Sono
io!”.
L’uomo è costretto a mostrare la sua identità, a farsi
riconoscere. Nel presentarsi l’uomo ha accolto la sua nuova identità. Ciò non è
facile per nessuno. Questa difficoltà la troviamo al cap. 7, quando Gesù
domanda all’infermo che stava alla piscina da 38 anni, se veramente vuole
guarire.
La nuova identità è riflessa in quell “io sono”. L’espressione
“Io sono” in Giovanni è l’espressione che richiama la rivelazione del nome di
JHWH, è l’espressione che usa Gesù per indicare se stesso.
Ora, dette dal neo vedente rivelano che lui e Cristo
formano una cosa sola. Chi cambia, chi va dall’inviato diventa simile a Dio, è
il riverbero della stessa luce di Dio.
v. 10: Allora gli domandarono:
“In che modo ti sono stati aperti gli occhi?”.
Anche in questo versetto abbiamo una certa insistenza e
questa volta sul “come” il fatto sia accaduto.
v. 11: Egli rispose: “L’uomo
che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto:
“Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho
acquistato la vista”.
Il neo vedente risponde alla domanda. Trascurando la
saliva e conoscendo il nome di Gesù, l’uomo per dire che ci vede, usa il verbo anablépo (vedi anche 9,15.18). 
Questo
verbo indica in Mt 14,19 che gli occhi
sono alzati verso il cielo
e in At 22,13 significa che gli occhi sono alzati verso qualcuno. In questi termini, il verbo descrive
che il miracolato guarda verso Colui che
egli “vede”
(heoraka) con una fede perfetta (9,37).
Il profeta Isaia ha espresso bene quanto ha fatto
l’uomo: “Alzati, rivestiti di luce,
perché viene a te la tua luce, la gloria del Signore brilla su di te…
cammineranno i popoli alla tua luce, al tuo sorgere” (Is 60,1); “Il sole non
sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore di luna, ma il
Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore”
(Is
60,19).
vv. 12-13: Gli dissero:
“Dov’è costui?”. Rispose: “Non lo so”. Condussero dai
farisei quello che era stato cieco:
L’ex cieco conosce il nome, ma ignora dov’è l’uomo che
l’ha guarito. Anche lui anche se ha acquistato la vista, dovrà fare un cammino
alla scoperta di Gesù, verso la vera Siloe e verso la sua professione di fede.
Questa domanda percorre il Vangelo. “Dove” o “Dov’è” è
la stessa cosa. La prima domanda che fanno i discepoli a Gesù è: dove dimori?
Il “dove” dell’uomo è il luogo dove abita, la sua casa, le sue relazioni; è la
sua identità; dove sei vuol dire “chi sei”? Quindi il “dove” è l’identità di
una persona.
Ai discepoli di Giovanni che chiesero a Gesù dove
dimorasse, Gesù disse: “venite e vedete”. Per l’uomo che ora ci vede è diverso.
Lui si deve mettere alla ricerca di Gesù per poter dimorare con Lui
Al suo “non so”, l’uomo è condotto dai maestri della
legge: i farisei. Questi realizzano una regolare inchiesta: interrogano il
miracolato due volte, convocano anche i suoi genitori.
vv. 14-16: era un sabato, il
giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i
farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli
disse loro: “Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci
vedo”. Allora alcuni dei farisei dicevano: “Quest’uomo non viene da
Dio, perché non osserva il sabato”. Altri invece dicevano: “Come può
un peccatore compiere segni di questo genere?”. E c’era dissenso tra loro.
L’Evangelista aggiunge il particolare del “sabato” per
evidenziare il dibattito teologico tra i farisei sulla trasgressione di Gesù. 
La
perplessità dei farisei è reale. Dt 13,1-6 esigeva che chi compisse prodigi
fosse condannato nel caso in cui incitasse il popolo a disprezzare la legge
divina.  
Tante volte le persone religiose si attaccano a delle norme,
a delle leggi, come i farisei, dimenticando la cosa principale: la legge è per l’uomo,
non l’uomo per la legge! (cfr. Mc 2,23-28)
Il grande peso che si pensa di addossarsi nel seguire
la sequela di Cristo non sta nel Cristo stesso, ma nella Legge di Mosè. Quando
non conoscevamo il Signore, ma solo i precetti della Legge avevamo sulla spalla
non il peso del Cristo, ma soltanto quello della Legge che ci opprimeva,
pesante come un mondo.
v. 17: Allora dissero di nuovo al
cieco: “Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli
occhi?”. Egli rispose: “È un profeta!”.
Il tentativo dei farisei per spiazzare il tutto è vano.
Il neo vedente non ha fatto ancora la vera e reale conoscenza del Messia. Come
la Samaritana, riconosce Gesù come un profeta. Popolarmente la figura del
profeta –simboleggiata nella tradizione ebraica dal grande e potente Elia-
identifica un uomo vicino a Dio, con speciale sapere e forza eccezionale.  
In questa risposta ci sta un crescendo: Gesù è uno che
fa semplicemente dei miracoli (cfr. v.15), poi un «profeta» (cfr. v.17), «uno
che fa la volontà di Dio» (v.31), che è «da Dio» (v.33).
vv. 18-23: Ma i Giudei non
credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista,
finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li
interrogarono: “È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco?
Come mai ora ci vede?”. I genitori di lui risposero: “Sappiamo che
questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo,
e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha
l’età, parlerà lui di sé”.
Questo dissero i suoi genitori,
perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se
uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per
questo i suoi genitori dissero: “Ha l’età: chiedetelo a lui!”.
La cecità e durezza di cuore va oltre. Vengono
convocati i genitori che li impantanano in una serie di confronti e non
chiarificazioni. I genitori confermano che il loro figlio era cieco ed adesso è
guarito; sul modo della guarigione non si pronunciano, e rimandano, pieni di
paura per essere espulsi dalla comunità (cfr. 7,13; 12,42; 19,38), ad
interrogare direttamente il figlio, ha l’età sufficiente per rispondere.
L’età per testimoniare era tredici anni e un giorno.
Ciò significa che è maggiorenne e per la legge giudaica la sua parola ha dunque
valore giuridico.
Il termine “confessare che Gesù è il Cristo” è un a
formulazione propria del linguaggio della Chiesa (cfr. Rm 10,9).
v. 24: Allora chiamarono di nuovo
l’uomo che era stato cieco e gli dissero: “Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo
che quest’uomo è un peccatore”.
È un ulteriore interrogatorio. L’uomo è chiamato a
riconoscere il Dio della vecchia alleanza e non il nuovo. Gesù è solo un
peccatore che ha infranto la Legge e va punito.
vv. 25-30: Quello rispose:
“Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo”.
Allora gli dissero: “Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli
occhi?”. Rispose loro: “Ve l’ho già detto e non avete ascoltato;
perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi
discepoli?”. Lo insultarono e dissero: “Suo discepolo sei tu! Noi siamo
discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non
sappiamo di dove sia”. Rispose loro quell’uomo: “Proprio questo
stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.
Quei farisei chiamano nuovamente l’uomo guarito e lo
invitano ad ascoltare la solidità della loro dottrina. Cercano di convincerlo,
perché loro “sanno”, hanno l’autorità di discernere che Gesù è un peccatore,
dunque non può fare nulla di buono. Ma l’uomo guarito conferma. Ciò non basta.
C’è la fatica di credere nell’uomo. Però, più i farisei faticano, più l’uomo
cresce nella fede in Cristo, a vedere chiaramente il mistero.
Alla fine, il miracolato non si sorprende più del
miracolo di cui è stato protagonista, ma del fatto che le autorità non sappiano
da dove venga Gesù.
 vv. 31-32: Sappiamo che Dio non
ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo
ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto
gli occhi a un cieco nato.
In un gioco di parole, che possiamo definire le stesse
dei farisei (noi sappiamo), il miracolato dimostra di aver colto il cuore della
Legge, esprimendo un principio della Sacra Scrittura: Dio non esaudisce i
peccatori ma ascolta i veri adoratori (Sal 33,16; Prov 15,29; At 10,35; Gc
5,16).
vv. 33-34: Se costui non venisse
da Dio, non avrebbe potuto far nulla”.
I versetti dimostrano chi è il vero cieco nato. C’è una
ostilità e abuso di potere nonostante tutto. I Farisei sono chiusi, serrati
nella loro verità su Dio e Mosè. Questo atteggiamento li condanna (9,39-41) “Chi non crede è stato condannato, perché
non ha creduto nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio E il giudizio è questo: la
luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre, perché le
loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non
viene alla luce perché non siano svelate le loro opere”
(Gv 3,19-20). e
retrocedono nel cammino verso il Messia.
Gli replicarono: “Sei nato
tutto nei peccati e insegni a noi?”. E lo cacciarono fuori.
La cecità dei Farisei è nello stile della favola di
Esopo: le due bisacce, dove non si vedono i difetti che vengono da se stessi ma
solo quelli che provengono dagli altri.
Per questo si ostinano a dire senza “ombra di dubbio”:
è nato nei peccati ed meglio che ritorni ad essere cieco per dare loro ragione.
E viene espulso dalla sinagoga come un comune appestato.
Per il miracolato questo non è un problema perché si
sente nel cuore di Dio e non scomunicato. In realtà, i veri scomunicati, sono i
farisei.
v. 35: Gesù seppe che l’avevano
cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: “Tu, credi nel Figlio
dell’uomo?”.
Tutto ciò arriva all’orecchio di Gesù che si mise a
cercarlo. Questa volta l’interrogatorio è da parte di Gesù, ma non è la stessa
cosa. Nel primo loro incontro non c’era stato dialogo, ma un gesto e un ordine,
al quale il cieco nato aveva risposto eseguendolo. Ora Gesù gli pone una
domanda che grammaticalmente richiede una risposta positiva. Infatti, qui vi è
un invito a fare professione di fede nel Figlio dell’uomo. Secondo la
tradizione giudaica di Daniele, la figura del Figlio dell’uomo è quella del
giudice escatologico (Dn 7,13). L’espressione è la prima volta che nel NT appare
con questo tono.
vv. 36-37: Egli rispose: “E
chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai
visto: è colui che parla con te”.
Gesù si rivela come Figlio dell’uomo. L’ex-cieco aveva
riconosciuto attraverso il segno Gesù come un profeta e un uomo che veniva da
Dio; ora è chiamato a credere al Figlio dell’uomo.
Siamo tra la conoscenza (identità) e desiderio (scoperta).
Egli intuisce che Gesù dopo avergli aperto gli occhi, gli propone un’adesione a
lui che è sorgente di vita. È l’intento di portare l’uomo al progetto
originario di Dio. Lo ha fatto con la donna samaritana, ora lo fa con il cieco
nato. Anche qui la visione è abbinata alla parola.
Nel vangelo di Giovanni, il racconto è strutturato dal
rapporto di due elementi: parlare/vedere, dei quali il principale è la parola.
Infatti il verbo vedere è legato alla fede e la fede nasce dall’ascolto. Infatti,
se il cieco non avesse ascoltato Gesù non avrebbe compiuto gli atti che ne
hanno segnato la guarigione. È la Parola il dono per eccellenza, quello che
permette all’uomo di passare dalla tenebra originaria alla luce divina.
v. 38: Ed egli disse: “Credo,
Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui.
Il miracolato riconosce chi è il suo salvatore grazie
al dialogo in cui Gesù si rivela e fa la sua professione di fede. È la stessa
professione che farà Marta (11,27).
Il cieco nato, divenuto credente, percepisce il Signore
nella sua fede. Egli compie un gesto con cui rende gloria a Dio in un altro
senso rispetto a quello che gli avevano chiesto i farisei (v.24). Il verbo
prostrarsi acquista il senso forte di adorare Dio stesso. La professione di
fede e la prostrazione esprimono la convinzione che Dio è presente nella
persona di Gesù.
Questo è stato appurato nel cammino del catecumenato.
Un cammino completato dopo una serie di domande e risposte (cfr. vv. 35-38) che
delineano le tappe della fede.
Queste tappe sono la pedagogia progressiva da parte di
Dio, che rispetta ritmi e capacità dell’uomo nell’attirarlo a sé.
v. 39: Gesù allora disse: “È
per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non
vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi”.
In questo versetto Gesù inizia a pronunciare una
condanna verso i farisei che, gonfi del loro sapere avevano escluso ogni
eventualità che Gesù potesse essere l’Inviato di Dio.
La guarigione del cieco indica il ricupero pieno della
vista fisica e di quella spirituale, mentre coloro che presumono di vedere,
sono diventati ciechi; hanno perso la capacità di percepire le realtà divine e
spirituali. Tra i vedenti che diventano ciechi ci sono i farisei. Ovviamente ci
si riferisce al vedere spirituale, come già negli scritti dei profeti.
vv. 40-41: Alcuni dei farisei che
erano con lui udirono queste parole e gli dissero: “Siamo ciechi anche
noi?”. Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun
peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato
rimane”.
Gesù precisa il suo messaggio ai farisei che si
sentivano chiamati in causa. Qui inizia un invito pressante: la prima
condizione per uscire dal peccato è avere coscienza di essere nel peccato.
Voi siete in stato di peccato perché con il vostro
sapere del tutto irrigidito che vi impedisce di vedere, non lasciate il minimo
spiraglio all’iniziativa di Dio e al suo dono. Di conseguenza il loro peccato è
il rifiuto della luce. Gesù non condanna i farisei, li avverte affinché
prendano coscienza del rischio cui si trovano di fronte, ora che è apparsa la
luce dall’alto, per la salvezza che Dio prepara.
La fede inizia, opera ed esige il riconoscimento della
realtà quale essa è in rapporto a Dio e all’uomo: Dio è misericordia, l’uomo è
miseria e peccato. Non possiamo rivolgere la nostra attenzione a Dio se non
rivolgiamo la nostra attenzione all’essere umano impedendogli di spalancare le
porte del cuore alla vita, alla meraviglia dell’amore e di Dio.
La
Parola illumina la vita
Quali sono gli atteggiamenti del cieco nato che lo hanno portato a
vedere e a credere?
Guardando l’atteggiamento dei farisei, valuto se gli somiglio?
Mi è mai capitato di rendermi conto che il mio atteggiamento era quello
di un cieco, che non si rendeva conto di determinate situazioni?
Quale concezione di Dio nella mia vita: è uno
che detta norme e leggi a suo arbitrio e devo osservarle? Oppure cerca solo il
mio bene?
Mi lascio aprire gli occhi da Cristo? In cosa la parola e l’esempio di
Gesù mi possono rendere vedente?
Pregare
Rispondi a Dio con le Sue stesse Parole…
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.  
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.   
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni. (Sal 22).
Contemplare-agire
Essere ciechi è non aprire gli occhi, non riconoscere la luce di Gesù
Cristo e non saperla riconoscere nel nostro quotidiano. Sono quelle azioni che
noi non facciamo (fratel Elia). 

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