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LECTIO: III DOMENICA DI PASQUA (Anno C)

Lectio divina su Gv 21,1-19

 


Invocare
Padre misericordioso, accresci in noi la luce della fede, perché nei
segni sacramentali della Chiesa riconosciamo il tuo Figlio, che continua a
manifestarsi ai suoi discepoli, e donaci il tuo Spirito, per proclamare davanti
a tutti che Gesù è il Signore. Egli è Dio e vive e regna con te nell’unità
dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
1Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli
sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme
Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di
Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a
pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono
sulla barca, ma quella notte non presero nulla. 4Quando già era
l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era
Gesù. 5Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?».
Gli risposero: «No». 6Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla
parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a
tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo
che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che
era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e
si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la barca,
trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non
un centinaio di metri.
9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce
sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che
avete preso ora». 11Allora Simon Pietro sali nella barca e trasse a
terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti,
la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E
nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che
era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e
così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai
discepoli, dopo essere risorto dai morti.
15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone,
figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu
lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli
disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?».
Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola
le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di
Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli
domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai
che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità,
in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove
volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e
ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale
morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché
penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro
il Testo

Il
capitolo 20 del vangelo di Giovanni descrive il cammino di fede pasquale dei
discepoli a partire dalla tomba vuota fino all’incontro personale con il
Risorto che reca i doni pasquali e viene descritto come la “prima conclusione”.
Il
capitolo 21, denominato “seconda conclusione”, è un testo un po’ tardivo alla
mano dell’Evangelista. Qui s
i fondono due tradizioni: quella di Giovanni e
quella sinottica. Infatti, Giovanni non ricorda l’appuntamento che Gesù risorto
fissa in Galilea con i suoi discepoli (presente invece in Matteo e Marco). Questi
erano tornati alla loro terra, al loro lavoro, in un momento di
dispersione e di smarrimento della comunità dopo lo
scandalo della croce.
Il lago di Tiberiade ci
indica che lo scenario è passato dalla Giudea (Gerusalemme) alla Galilea.
Il
Signore si rivela loro presso il mare di Tiberiade svelando con gradualità il
suo mistero e la loro vocazione. Ma cosa significa seguire Gesù? Significa
seguire l’Agnello che è stato immolato. Si tratta di percorrere una strada di
obbedienza e di croce, la strada di un amore che si fa serio attraverso il dono
totale di sé.
Giovanni aveva menzionato
il lago di Tiberiade solo una volta, nell’episodio della moltiplicazione dei
pani (Gv 6,1).
Questo ci può far
riflettere sulla necessità che la chiesa, sempre di più, sia fondata sulla
Scrittura, che è in missione tra le ostilità del mondo e che viene invitata a
seguire il Maestro, anche se le è riservata la medesima sorte (cfr. 21,29).
 
Riflettere
sulla Parola
(Meditare)
v. 1: Dopo
questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E
si manifestò così
Dopo
aver raccontato l’apparizione di Gesù ai discepoli e a Tommaso, ora ci
spostiamo da Gerusalemme (Giudea) in Galilea, sul lago di Tiberiade,
nell’attuale Tabga. Qui abbiamo un’ulteriore manifestazione di Gesù, diversa
dalle precedenti.
Il verbo «manifestarsi» è un
termine “tecnico”;
viene usato 9 volte da
Giovanni ed è applicato 3 volte agli incontri con il Risorto. Il termine
tradotto dal greco significa «rendere chiaro». Suggerisce un “uscire
dall’oscurità per venire alla luce”. Giovanni qui non fa altro che attirare
l’attenzione su un evento grande che sta per compiersi.
La
potenza della risurrezione di Gesù non ha ancora finito di invadere la vita dei
discepoli e quindi nella nascente Chiesa; occorre disporsi ad accogliere la
luce, la presenza, la salvezza che Cristo ci dona. E come si manifesta ora, in
questo brano, così continuerà sempre a manifestarsi nella vita dei credenti.
Anche nella nostra. Questo sarà d’ora innanzi il suo modo di essere con i suoi
discepoli.
v. 2: si
trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di
Galilea,
i
figli di Zebedeo e due altri discepoli.
I
discepoli vengono caratterizzati dallo stare insieme, come ha insegnato Gesù. Del
resto, Egli stesso li chiamò perché stessero con Lui. Li chiamò dal luogo della
sua preghiera, attirandoli a sé e simbolicamente introducendoli nel segreto
della sua comunione con il Padre. Li chiamò perché stessero con lui e per
mandarli con la sua stessa potenza ad annunciare il vangelo del Regno (cfr. Mc
3,13-15).
Vengono menzionati in questo versetto sette discepoli, cinque dei quali
sono ben identificati, che sembrano essere ritornati alla loro terra di origine
e alle loro attività abituali, come se non fosse accaduto niente di strano.
Simone col soprannome dato
da Gesù «Pietro» (Kēpha = roccia); Tommaso viene ricordato (anche con il
soprannome) in Gv 11,16 e 20,24. Natanaele, sconosciuto ai Sinottici, è uno dei
primi chiamati (Gv 1,45-51), ma solo qui si dice di lui che fosse di Cana di
Galilea. È vicino a Tommaso per la sua confessione di fede nei confronti di
Gesù (cfr. Gv 1,49 e Gv 20,28).
Ci sono anche i figli di Zebedeo. Essi sono Giacomo il Maggiore e
Giovanni e in Giovanni i loro nomi non vengono mai menzionati. Lo sappiamo
dagli altri Vangeli (cfr. Mc 1,19b),
coloro che con Pietro, partecipano alla pesca di Lc 5,1ss. Nella tradizione il
secondo di questi fratelli è stato identificato nel compagno anonimo di Andrea
(Gv. 1,35-40) «l’altro discepolo», quello che Gesù amava, autore del quarto
Vangelo.
Vi sono poi due altri
discepoli sono anonimi, come quelli ricordati all’inizio del Vangelo (cfr.
1,35).
Chi sono questi altri due discepoli? Il numero
due nella Bibbia viene raffigurato come l’inizio della moltitudine. Quindi
inutile chiedersi chi fossero questi due discepoli anonimi. Questi
rappresentano ciascuno di noi e quanti prenderanno la via del discepolato.
La presenza di questi due
personaggi misteriosi apre e chiude il racconto di Giovanni.
v. 3: Disse
loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”.
Non
sapendo cosa fare se non quello che sempre ha fatto, Pietro si spinge fuori,
verso il mare, per pescare. Simon Pietro non ordina agli altri di pescare.
L’autorità non è comando, ma un modello da imitare. Il mare di cui si parla non
è quello della pesca miracolosa (Lc 5,1-11), non è il comune mare che
intendiamo, ma il mare della vita. Infatti, n
ei sinottici la pesca è
metafora del lavoro apostolico.
veniamo anche noi con te.
C’è
un domandare che nasce dal cuore e che nella spontaneità si fa concretezza,
vita, sequela. C’è una libera decisione che nasce da un cuore in comunione.
Questa comunione tra di loro resta però sterile fino a quando non è comunione
con Gesù, obbedienza alla sua parola.
La
preposizione «con» (= syn), che indica appunto comunione, appare solo altre due
volte in Giovanni. Si parla di Lazzaro, risorto, che sta a mensa «con» Gesù
(12,2) e di Gesù che entra nel giardino «con» i suoi discepoli (18,1). Per
Tommaso, ad esempio, che dice di essere disposto a morire accanto a Gesù, si
usa la preposizione greca «metá», che indica piuttosto l’essere a fianco (cfr.
11,16).
Quella notte non presero nulla.
È
una notte intera ed è buio: buio nella vita. Una notte di fatica, non prendono
nulla. In questo buio vi è solitudine, l’incapacità delle forze umane. Finora
si è parlato di «quel giorno» (cfr. 19,31; 20,1.19). Ma qualunque giorno rimane
notte fino a che non si manifesta la luce del mondo. Ogni iniziativa
apostolica, infatti, con tutte le reti e le perizie del mondo, se non
scaturisce dalla comunione con il Signore, resta infruttuosa
(cfr.
Gv 15,4-5).
v. 4: Quando
già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che
era Gesù.
Il
momento è poi quello dell’’alba che, nel linguaggio biblico, è spesso associata
all’esperienza della salvezza. È preferibile leggere, con molti codici,
«venendo l’alba» invece che «quando già era l’alba». Infatti, la notte finisce
e viene l’alba con la presenza di Gesù. Con lui inizia il «giorno nuovo»
(20,1), che dissolve la tenebra in cui si trovano i discepoli.
In
questo nuovo giorno l’evangelista dice che Gesù «stette» sulla riva. Lo vediamo
in piedi, risorto. Ora Gesù non si fa riconoscere subito, sta ai discepoli la
capacità di riconoscere che da soli non possono fare nulla. Sarà necessaria
l’obbedienza alla sua parola perché i loro occhi si aprano e lo confessino come
il Signore.
v. 5: Gesù disse loro:
“Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero:
“No”.
Chiama i suoi discepoli in modo familiare chiedendo da mangiare. La sua
domanda serve per riannodare i rapporti con loro. Il termine che Gesù usa per
chiedere da mangiare l
etteralmente
è «companatico» e non il pane, perché
il pane vero lo potrà dare lui soltanto. Il «pane» c’è già: è Lui, che ha dato sé
stesso per la vita del mondo. Manca il «companatico» da aggiungere a questo
pane: è la risposta al suo amore, che solo noi possiamo dare.
La loro risposta è un secco «no», come
il “no” di una delusione. Quante volte, nonostante il nostro darci da fare con
perizia e impegno, brancoliamo nella notte e non peschiamo nulla (cfr. Lc 5,5).
Se la missione è senza frutto, significa che non siamo uniti a Lui, che non
ascoltiamo la sua Parola.
v. 6: Allora egli
disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e
troverete”. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande
quantità di pesci.
Gesù
dice loro qualcosa di importante a cui prestano orecchio e obbediscono. Gesù,
non solo ordina di gettare la rete da una parte precisa, l’unica che può essere
feconda di vita, ma indica anche una direzione verso la quale guardare: “dalla
parte destra”.
La
Bibbia tratta il tema della «destra» come la parte
più
nobile dell’uomo, notoriamente il più favorevole (cfr. Gn 48,13-15; Mt 25,33)
ma anche della potenza e
della benedizione divina:
inoltre, evoca la visione di Ez 47, con il ruscello che esce dal “lato destro
del tempio”, fino a diventare un fiume immenso che tutto risana e che dà vita
alle acque del mare. Collegando i vari elementi, si può dire che in Giovanni,
Gesù Risorto è il nuovo Tempio, la nuova e definitiva possibilità di incontro
con Dio (cfr. Gv 2,13-25). È l’immagine della presenza di un Dio amante della
vita e di tutti i viventi, che vivifica, anzi Lui stesso dice: “Sono venuto
perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza, in pienezza” (Gv 10,10).
La pesca prefigura l’attività dei “pescatori di uomini” (Mc 1,17),
l’opera di evangelizzazione che diviene efficace solo se vi è la presenza di
Gesù. Solo uniti a Lui riesce la missione.
v. 7: allora quel discepolo che Gesù amava disse a
Pietro: «È il Signore!»

Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai
fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare.
Il
discepolo che Gesù amava, appare sempre vicino e in contrappunto a Pietro.
Ricordiamo al sepolcro il primo a vedere le bende e a credere; qui è il primo a
riconoscere il Signore nello straniero sulla riva. E lui che notifica la
presenza di Gesù. Solo l’amore vede in profondità. Il discepolo dell’amore
riconosce il Signore e grida la sua fede a Pietro, a colui che il Signore ha
scelto fin dall’inizio a capo del suo gregge.
Pietro
aderisce immediatamente e si butta in mare per raggiungere al più presto il suo
Signore e Maestro. Gli altri, invece, si avvicinano trascinando la barca e la
rete. Significa, allora che la nostra vera povertà si ha quando si è lontani
dal Signore.
Qui
Pietro compie dei gesti. Il primo è quello di cingersi la veste, la stessa
azione usata da Gesù per la lavanda dei piedi. Pietro si riveste di Cristo, da
ora in poi assumerà lo statuto di servo, sarà sempre al servizio. La forza
simbolica del gesto è moltiplicata dal fatto che sembra strano cingersi la
veste per gettarsi in acqua, sarebbe più logico il contrario. Però. Come per
primo entrò nel sepolcro, così per primo ha bisogno di gettarsi in mare e
risalire, alludendo al Battesimo unendosi al Maestro nella sua morte e
risurrezione.
v. 8: Gli altri
discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non
erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Per
i discepoli che fanno fatica a riconoscere Gesù, sarà necessaria l’obbedienza
alla sua Parola perché i loro occhi si aprano e lo confessino come il Signore.
È sempre la sua Parola che consente di giungere ad una vera coscienza di sé,
dei propri risultati e dei propri limiti! Infatti, l’obbedienza alla Parola che
li ha raggiunti viene ricompensata da una pesca assolutamente mirabile, la rete
si gonfia spropositatamente di pesci. I discepoli così, sperimentando una
realtà nuova, e cioè che non sono loro a procacciarsi da vivere, ma che possono
soltanto accogliere una parola donata portatrice di vita e di fecondità.
v. 9: Appena scesi a terra, videro un fuoco di
brace con del pesce sopra, e del pane.
Non
si dice che vedono Gesù, ma della brace con del pesce e del pane. Quel fuoco di
brace richiama a quel fuoco della notte del tradimento in cui Pietro si stava
riscaldando. Qui c’è un nuovo fuoco di brace perché Pietro ricominci ad amare
come Gesù ha amato.
Non
per tutti sarà come Pietro. Ognuno ha bisogno del suo tempo per capire che Gesù
è il pane di vita offerto per tutti noi e che sarà perpetuato in ogni
eucarestia.
vv. 10-11: Disse
loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso ora”. Allora
Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di
centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si
squarciò.
Il cibo è pronto ma deve
essere condiviso.
Pietro ora sale nella
barca, simbolo della Chiesa. Egli diventerà non più Simone ma Pietro
, a lui
Gesù darà l’impegno di pascere le sue pecore
.
Per questo lui solo è pronto a farlo nonostante l’invito fosse rivolto a tutti.
Questo versetto è caratterizzato da una grande simbolica, che fa fare il
passaggio dalla infruttuosità a “portare frutto duraturo”.
Sul numero 153 numerose sono
state molteplici le interpretazioni che ruotano tra astrofisica e matematica. Tenendo
conto che una cifra indica una moltitudine, possiamo dire che in quei «153
grossi pesci» sono raffigurate le moltitudini degli uomini attirate a Gesù,
Innalzato e Risorto dalla testimonianza dei discepoli. Infatti, la frase
seguente dice che nonostante fossero molti, la rete non si spezzò. Il simbolo è
chiaro: anche se la Chiesa raduna tante genti rimane unita e compatta sotto la
guida di Pietro, tenendo sempre presente che è

la Parola del Signore che riempie le reti, e sarà sempre la sua Parola che
renderà efficace in ogni tempo la missione dei discepoli.
v. 12: Gesù disse loro:
“Venite a mangiare”. E nessuno dei discepoli osava domandargli:
“Chi sei?”, perché sapevano bene che era il Signore.
Gesù invita a mangiare, a nutrirsi al
banchetto eucaristico, al pane di vita, a quello stesso pane spezzato per molti.
Colui che ha lavato i piedi è sempre in mezzo a noi come colui che serve (Lc
22,27).
I discepoli ormai hanno capito che si tratta del
Maestro. Non c’è bisogno di tante domande, sarebbe mettere in dubbio la sua
presenza e la sua divinità, cosa che per i discepoli è ormai assodata.
È evidente che il riconoscimento di
Gesù viene dalla comunione con lui, dal mangiare e vivere di lui. Il Risorto
viene a noi nell’eucaristia, attende solo di essere accolto.
vv. 13-14: Gesù
si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza
volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Le parole sono quelle della cena eucaristica (cfr. Gv 6,11). È un gesto
di riconciliazione. La comunione tra il Maestro e i suoi discepoli si è ormai
ristabilita. Come nella casa dei due discepoli di Emmaus, il Signore risorto
mangia con i suoi. Cristo è presente nella comunità ecclesiale durante la
frazione del pane.
L’indicazione del terzo incontro tra Gesù e i suoi può essere vista come
un raccordo al capitolo 20.
vv. 15-17:
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone, figlio di
Giovanni, mi ami più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu
lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli
disse di nuovo, per la seconda volta: “Simone, figlio di Giovanni, mi
ami?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”.
Gli disse: “Pascola le mie pecore”. Gli disse per la terza volta:
“Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro rimase addolorato
che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene?”, e gli disse:
“Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gli rispose
Gesù: “Pasci le mie pecore.
Gesù
vuole stabilire i rapporti interpersonali e si rivolge a Pietro all’interno
della comunità dei discepoli. C’è un dialogo serrato, con dieci scambi di
parola tra Gesù e Simon Pietro. Tema è il suo ruolo di guida e custode
dell’unità, già emerso durante la pesca. Gesù lo chiama con il nome suo e di
suo padre, come all’inizio (cfr. 1,42): Simone di Giovanni,
come
una seconda chiamata
. Dopo l’esperienza
dell’amore e della fedeltà del Signore per lui, diventerà Pietro, come gli fu
detto nel primo incontro (1,42).
Poi gli chiede se lo ama
più di costoro.
Gesù usa la parola (trasl. agapas) che indica l’amore originario e
gratuito con il quale Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio (3,16).
Gesù chiede a Pietro se lo ama «più» degli altri per ridimensionare la sua
pretesa di essere migliore degli altri.
Pietro
risponde con “
Tu lo sai che ti voglio bene”. La risposta affermativa di Pietro non si fonda
sulla sua sicurezza di dare la vita per Gesù, ma sulla sua possibilità concreta
e reale di rispondere a questo amore. In questo momento non è capace di dire
“ti amo”. Quindi non è una semplice variazione stilistica. «Nessuno ha un amore
più grande di questo, dare la vita per i suoi amici. Voi siete miei amici, se
fate ciò che vi comando» (15,13s). Pietro di fatto, poi, darà la sua vita per
l’amico, proprio nell’esercizio del suo ministero di pastore che pasce il suo
gregge. Pietro lascia perdere l’emulazione con gli altri: non risponde al «più
di costoro».
Alla risposta di Pietro, Gesù affida a lui il suo gregge. La domanda e la
risposta si ripete per tre volte, con diverse sfumature. Gesù chiede «mi ami»,
usando il verbo agapao e la terza
volta phileo. Pietro usa solo
quest’ultimo verbo quasi a dire “valuta tu il mio amore per te!”.
Da
quel momento, sarà il Pescatore di uomini, e coloro che, nel tempo, gli
succederanno, a guidare il nuovo popolo di Dio, che è la Chiesa, quella mistica
rete stracolma di pesci che, tuttavia, non si rompe per il carico che porta.
Pietro
è stato interrogato sull’amore per il suo Signore, e anche noi lo siamo, ogni
giorno, ed ogni giorno, per tutto l’arco della vita, anche noi, come lui, siamo
chiamati ad ascoltare l’invito del Redentore che ci ripete: «Seguimi!».
Affidando
a Pietro il compito di pascere la sua chiesa, Gesù gli chiede una professione
di amore. Se amerà Gesù, Pietro certamente amerà anche il gregge di Gesù, saprà
servirlo con la premura del responsabile e nello stesso tempo con il distacco
del servo. Se amerà Gesù, Pietro non cadrà nella tentazione di spadroneggiare
sulle persone a lui affidate, ma saprà farsi modello del gregge.
vv. 18-19a: in verità, in verità ti dico: quand’eri
giovane
ti
vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue
mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi.
Questo disse per indicare con
quale morte egli avrebbe glorificato Dio.
II versetto è un contrappunto
giovane/vecchio, cingersi/essere cinto, andare/essere portato, volere/non
volere. C’è una differenza tra il precedente Simone, che da giovane si cingeva
la veste credendo di andare dove voleva, e il nuovo Simone, che da vecchio sarà
cinto della veste da un altro e sarà portato dove non vuole. Se Pietro voleva
dare la vita per Gesù, Gesù ha dato la vita per lui. Lavandogli i piedi, gli ha
dato la libertà di amare come è amato. Per questo «tenderà le mani» e sarà
condotto a morire accanto a Gesù, come i due malfattori. Solo in questo
capovolgimento si raddrizzerà. Allora si compirà il suo battesimo, iniziato nel
suo buttarsi in mare cinto della veste (cfr. v. 7). Crocifisso con Cristo (cfr.
Rm 6,6), deporrà definitivamente l’uomo vecchio e rivestirà l’uomo nuovo:
diventerà come il Pastore bello che sa dare la vita (10,11). Così gli sarà
veramente amico (15,13).
La morte di Pietro avrebbe
glorificato il Signore. Anche per la morte di Gesù il vangelo di Giovanni parla
di glorificazione (cfr. Gv 12,33; 13,31). La morte di Gesù e del suo discepolo
non è un fatto accidentale, ma una testimonianza della grandezza e dell’amore
del Padre.
v. 19: detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Qui
termina il colloquio tra Gesù e Pietro, con l’invito alla sequela. Una chiusura
un po’ particolare, perché presenta un commento dell’evangelista e subito di
nuovo lascia risuonare la parola di Gesù per Pietro, parola fortissima e
definitiva: “Seguimi!”, alla quale non c’è altra risposta che la vita stessa.
Come Filippo all’inizio (1,43), ora anche Pietro è chiamato dal Signore a
seguirlo. Pietro non è il pastore da seguire, ma l’agnello che segue l’Agnello,
fino al martirio. Con la sua testimonianza offrirà ai fratelli il cibo di cui
lui stesso si è nutrito. Seguire Gesù è un’espressione che dice in sintesi
tutta la vita cristiana: si segue chi si ama, per essere con lui e come lui.
 
Ci fermiamo in
silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio
sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La
Parola illumina la vita e la interpella

Sono
capace di riconoscere Gesù risorto nella mia vita?
Ogni
giorno lascio che ogni cosa passi sempre da Lui oppure mi affido alle mie sole
forze?
Quale
significato traggo per la mia vita a quell’alimento che proviene dalla pesca?
Qual è la qualità del mio
amore per Gesù? Quale missione mi affida?
 
Rispondi
a Dio con le sue stesse parole
(Pregare)
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli
inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella
fossa.
 
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.
 
Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
(Sal 29).
 
L’incontro con
l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità
(Contemplare-agire)
Soltanto
se accolgo il cibo predisposto da Gesù, aggiungendo il frutto della mia attività
missionaria potrò incontrare il Risorto e sperimentarne la sua «manifestazione»
nella ferialità della vita.  


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