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LECTIO: DOMENICA DI PENTECOSTE (Anno C)

Lectio divina su Gv 14,15-16.23b-26


 
Invocare
O Padre, che nel mistero della
Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai
confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continua oggi, nella comunità
dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del
Vangelo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e
io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi
per sempre. 23«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Pa­dre
mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi
non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia,
ma del Padre che mi ha mandato.
25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma
il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi
insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché
penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro
il Testo

Nell’ebraismo la Pentecoste era una delle tre festività,
dette “Shalosh regalim” (tre pellegrinaggi), denotanti feste di pellegrinaggio
– a Gerusalemme. La festività ebraica era legata alle primizie del raccolto e
alla rivelazione di Dio sul Monte Sinai, dove Dio ha donato al popolo ebraico
la Torah.
Il termine Pentecoste, utilizzato dagli ebrei di lingua
greca, si riferiva alla festa, conosciuta nell’AT come “festa della mietitura e
delle primizie” (Es 23,16), “festa delle settimane” (Es 34,22; Dt 16,10; 2 Cr
8,13), “giorno delle primizie” (Nm 28,26), e definita più tardi “‘asereth” o “‘asartha”,
cioè “assemblea solenne” e, probabilmente, “festa conclusiva”: Pentecoste
diventò, dunque, la festa per il raccolto e della fine della stagione che segue
la Pasqua.
C’è un legame stretto tra la festa di Pentecoste e quella di
Pasqua.
La Pentecoste è il dono dello Spirito che è donato a noi e
che è la nuova Legge. Se per Israele la legge fondamentale erano i dieci Comandamenti,
per noi è lo Spirito Santo.
Con il dono dello Spirito nasce il nuovo popolo di Dio che è
la chiesa. La legge diventa una realtà interiore al cuore dell’uomo e diventa
animata fondamentalmente dall’amore. Non basta conoscere la legge di Dio per
osservarla, bisogna amarla. Per amare la legge di Dio bisogna amare Dio.
La
Pentecoste non è in realtà un’altra cosa rispetto alla Pasqua, ma ne è il
compimento, il frutto. Se Gesù è andato in croce, noi diciamo è andato in croce
per salvare l’umanità. È vero. Questo si può dire esattamente in un altro modo:
è andato in croce per donare lo Spirito. Cioè per donare la vita di Dio agli
uomini, per donare l’amore di Dio agli uomini, per donare la novità di speranza
agli uomini. Lo Spirito è tutto questo. Quindi con la sua morte Gesù non ha
guadagnato altro se non lo Spirito, non ha donato altro se non lo Spirito. Ha
donato tutto, si può dire, ma tutto è concentrato in questo mistero grande
dello Spirito, cioè della vita e dell’amore di Dio messo a disposizione degli
uomini, perché gli uomini ne possano vivere; vivano di questa ricchezza che
scaturisce dalla Pasqua del Signore.
 
Riflettere
sulla Parola
(Meditare)
v. 15: Se
mi amate
C’è un modo abituale di Gesù nel fare proposte partendo dal nostro
condizionale: “se”. Il suo non è un “condizionale”, Gesù ha la certezza che i
suoi discepoli lo amino, (anche se è un amore che deve essere purificato) ed è
per questo che chiede loro la fedeltà a quella amicizia e a quell’amore verso
di lui.
In questa particella è racchiusa la libertà dell’uomo; per primo gli offre il suo amore, desidera entrare in
rapporto con lui in modo unico e personale; gli propone un legame intenso e
irripetibile, per unirlo a Sé tramite l’amore ma solo se anche l’uomo lo
desidera!
L’amore
che Gesù chiede ai suoi non è un semplice amore di amicizia, un affiatamento
umano. L’amore di cui parla Gesù viene da una natura nuova.
Gesù pone
questo amore a un livello molto più alto, collegandolo con la vita secondo la
nuova legge da Lui promulgata e con l’invio dello Spirito Santo.
L’amore è l’unica spinta che possa ordinare l’uomo al
compimento.
osserverete
i miei comandamenti.
L’osservanza
dei precetti del Signore costituisce il banco di prova dell’amore per il Figlio
di Dio.
“Entolài” è il termine con cui la Bibbia greca detta “Settanta” rende
l’originale ebraico “Le 10 parole” (che corrispondono ai famosi “10
comandamenti”); ma nella concezione biblica la Legge-comandamento è soprattutto
la rivelazione divina che conduce alla
vita;
i “comandamenti” sono “indicazioni
per un cammino”,
quello della salvezza, cioè quello che porta al senso e
alla pienezza della vita; ecco perché, “se”
si ama il Signore, ci si troverà
incamminati nella via autentica.
La frammentarietà, tipica dei
nostri giorni che scivolano via come polvere sollevata dal vento, disintegra la
bellezza di un amore che si muove dall’io al tu per coprire spazi sempre più
ampi.
L’amore vero va provato
mediante l’obbedienza; non si tratta, infatti, di un sentimento vago ed
emotivo, né si intende come pratica esteriore di norme e precetti; infatti, non
si tratta semplicemente dei precetti morali, essi implicano tutto un modo di
vivere in unione d’amore con Lui.
 
v. 16: io
pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per
sempre.
L’amore di cui parla Gesù,
scaturisce dal Padre. Gesù prega il Padre per ottenerlo e il dono è “un altro
Paràclito” già donato da Lui stesso al Calvario, quando l’evangelista dice: “ha
donato il suo spirito” (Gv 19,30).
Il
Paraclito di cui si parla, nel greco profano significa: “assistente legale”, “avvocato”;
sia il termine che il verbo parakalein da cui deriva, può significare
anche “esortazione”; nei LXX hanno il senso di “dare gioia”, “consolare” con
riferimento esplicito ai beni dell’epoca messianica e al senso della gioia che
ne deriva (cfr. Is 40, 1); nel NT si riferiscono all’annuncio profetico
cristiano (cfr. At 2,40; 1Cor. 14,3).
Lo Spirito sembra essere il sigillo di questo amore e,
proprio in quanto forza di amore, in grado di produrre vicinanza e comunione.
Per comprendere l’importanza di questa funzione dello Spirito, bisogna partire
dalla percezione di una dolorosa solitudine che il cristiano è costretto a
sperimentare nel mondo. Egli vive, infatti, nel mondo, ma non può essere del
mondo (Gv 17,15s); deve perseverare in una linea alternativa rispetto alla
logica mondana. È naturale che si senta solo; è comprensibile che senta il
bisogno di una presenza che lo conforti. La solitudine, infatti, il sentirsi
“diversi” rispetto alla maggioranza, è sorgente di paura. Lo Spirito è perciò
promesso per sciogliere questa paura e dare al discepolo la convinzione ferma
di non essere abbandonato, di avere con sé la presenza del suo Signore, anzi la
presenza di Dio stesso.
v. 23b: Se
uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà.
Saltando alcuni versetti, il presente versetto ripiglia l’obiezione di
Giuda (dal v. 19), obiezione che appartiene ai giudei e a tutti noi a cui Gesù
risponde.
Amare Gesù significa portarlo nel
cuore, vuol dire custodire le sue parole, vuol dire che vivere come lui, vuol
dire che lui diventa la nostra vita perché se noi amiamo una persona, quella
persona diventa la tua vita. Ecco perché Gesù dice «se uno mi ama», allora è
colui o colei che osserva la sua Parola, cioè osservare i comandamenti (in Giovanni
i comandamenti si riducono al comandamento, alla osservanza
della Parola
) e vive
di Lui concretamente amando i fratelli, e quindi conoscerà il Padre e si sentirà
amato.
e noi
verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui
.
Il “verremo
a Lui” riprende il “verrò a voi” del v. 18; qui il verbo è al plurale e indica
che i due soggetti, Padre e Figlio, assicurano una presenza di assistenza e
protezione attraverso lo “stare in”, “dimorare” in un “co-abitare” che realizza
un’unione intima che trova il suo contesto nell’amore verso Gesù.
Questo
passo nel quale Gesù parla della sua venuta nel cuore dei discepoli insieme al
Padre per far dimora dentro il loro cuore, completa la tematica
dell’inabitazione della Trinità nel seno della comunità cristiana e dei singoli
membri del popolo di Dio.
L’amore trinitario è un amore
inquieto, cerca spazi e luoghi, è un amore cercatore, che preme, dilaga, si fa
strada verso il cuore.
Gesù
chiarisce che la sua manifestazione agli amici che gli dimostrano un amore
concreto non avverrà in modo spettacolare ed esterno, ma si realizzerà
nell’intimo delle coscienze, con la sua venuta assieme al Padre nel cuore dei
discepoli che osservano la sua Parola. In questo modo i discepoli diventano
tempio della Trinità (cfr. 1Cor 3,16-23; 6,12-20).
v. 24: Chi
non mi ama, non osserva le mie parole.
Qui
abbiamo una inclusione con 14,15, è la vera risposta a Giuda, anche se
indiretta. Infatti, in questo versetto si ribadisce la tematica dell’amore,
concretizzato nell’osservanza delle parole di Gesù. A colui che non ama
Gesù è inaccessibile e quindi non gli si può manifestare.
Ogni volta che non riuscirò a
vivere la buona notizia del regno e diventerà un peso il solo pensare alle
esigenze delle parole di Cristo, non cercherò scuse nelle situazioni e nel mio
diritto alla libertà: un cuore povero di amore intristisce e muore perché perde
la sua identità profonda. E come si può far ardere il cuore quando la vita lo
ha lasciato?
Chi non
ama e non pratica i comandamenti non può far parte della vita di Dio. Il Padre
e il Figlio non possono venire dove non c’è l’amore per Cristo e per i
fratelli, amore che scaturisce dall’obbedienza alla Parola di Gesù, che è la
stessa del Padre.
e la
parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Gesù vuole
sottolineare che la sua Parola, ascoltata dai discepoli, in realtà è del Padre
che lo ha mandato.
Il Padre di Gesù continua la sua
stessa azione creatrice, attraverso opere che comunicano vita all’uomo.
Ed è bello vedere questo movimento.
In pratica vi è un amore continuo. Ora più
l’amore è autentico, più rimanda
all’altro e dall’altro ad altri ancora… è la festa del far posto, del farsi
piccoli perché siano grandi gli altri, del guardare dentro la realtà per
trovarvi la straordinarietà del compiuto.
v. 26: il
Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome.
È la prima
volta che in Giovanni il Paràclito viene indicato con il nome di Spirito Santo.
Nella sua fisionomia di maestro interiore nonché di memoria attiva dei
credenti, lo Spirito è percepito, da parte della comunità giovannea, come
sempre relazionato al Cristo (cfr. Gv 7,37-39). Egli prenderà il posto di Gesù
e sarà inviato nel suo nome, continuando la sua opera perché ha una affinità
intima, ontologica, con Gesù; agisce quindi in relazione con Gesù, al suo
posto, con la sua autorità.   
lui vi
insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Nel
Vangelo è solo Gesù che insegna. Qui sarà lo Spirito Santo senza aggiungere
nulla in più di quanto Gesù ha detto.
Lo Spirito
Santo ti farà ricordare tutte le cose. Il verbo “ricordare” significa “portare
nel cuore”. È l’amore che ti fa riportare nel cuore le parole di chi ami,
queste parole entreranno nel nostro cuore e siccome uno vive di ciò che ha nel
cuore, di ciò che ricorda, vivremo la parola e saremo come Gesù, il Figlio che
ha dato carne alla Parola. Perché questo? Perché più si ama e più si permette
allo Spirito di entrare dentro di noi, e più le realtà di Dio, un Dio amore,
saranno visibili e le potremo comprendere. E poi abbiamo sempre bisogno che
Qualcuno ci ricordi le cose più belle!
Gesù
dichiara che lo Spirito Santo insegnerà ogni cosa ai credenti e ciò avverrà
mediante il ricordo di quanto il Cristo ha rivelato. Lo Spirito ha un’azione
didattica orientata verso la parola di Gesù; non porterà una rivelazione
personale diversa da quella del Cristo, perché svolge la missione di richiamare
alla memoria dei discepoli la verità di Gesù, attraverso la sua azione
interiore nel loro cuore e nella loro mente.
Lo Spirito
Santo sarà in eterno con i credenti, anzi dimorerà in essi e darà loro
l’intelligenza della fede, facendo capire la parola di Gesù dall’interno; quindi,
sarà il vero maestro interiore dei credenti
: quando
questi diventeranno il “discepolo amato” non ci sarà più da imparare perché lo
Spirito sarà il volto svelato del Cristo.
 
Ci fermiamo in
silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio
sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La
Parola illumina la vita e la interpella

Dio è presente nella mia vita:
avverto questo dono di Dio? O vivo nell’obiezione?
Sono aperto a creare un mondo
nuovo, nella linea dettata dallo Spirito di Dio?
Sono aperto e so riconoscere i
“semina Verbi” (i semi del Verbo) anche al di fuori della mia
comunità? Collaboro per la loro maturazione?
Amo il Signore, cioè ho nel cuore
la sua Parola per viverla nella mia quotidianità?
In questa nuova Pentecoste, so
accogliere il dono dello Spirito con più consapevolezza e gratitudine?
 
Rispondi
a Dio con le sue stesse parole
(Pregare)
Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.         
 
Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.     
 
Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore. (Sal 103).
 
L’incontro con
l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità
(Contemplare-agire)
Lasciamo che
lo Spirito d’Amore ci ricrei, che colmi le assenze della speranza e orienti
i passi e i pensieri verso le vette della consegna perché
niente possa distoglierci dal desiderio di tracciare i sentieri del bene nella
boscaglia della dispersione.
 
 
 

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