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LECTIO: XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Lectio divina su Lc 10,1-12.17-20


 
Invocare
O Dio, che nella
vocazione battesimale ci chiami ad essere pienamente disponibili all’annunzio
del tuo regno, donaci il coraggio apostolico e la libertà evangelica, perché
rendiamo presente in ogni ambiente di vita la tua parola di amore e di pace. Per
Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
1Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due
davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva
loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il
signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3Andate:
ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né
sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
5In qualunque casa entriate, prima
dite: “Pace a questa casa!”. 6Se vi sarà un figlio della pace, la
vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate
in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha
diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
8Quando entrerete in una città e vi
accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i
malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. 10Ma
quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e
dite: 11“Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai
nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio
è vicino”. 12Io vi dico che, in quel giorno, Sodoma sarà trattata
meno duramente di quella città».
17I settantadue tornarono pieni di
gioia, dicendo: «Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome». 18Egli
disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19Ecco,
io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta
la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20Non rallegratevi
però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri
nomi sono scritti nei cieli».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché
penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro
il Testo

Ci troviamo durante il viaggio di Gesù verso Gerusalemme.
Gesù aveva già inviato i Dodici (Lc 9,1-6). Tale invio ha prefigurato l’invio
degli apostoli al popolo di Israele. L’invio dei 70/72 prefigura la missione
universale di tutta la Chiesa. Questa prospettiva universale della missione può
essere colta grazie alla presenza nel brano di alcuni elementi caratteristici:
– l’immagine della messe abbondante (v. 2): nell’AT è
immagine del giudizio finale di Dio su tutti i popoli.
– il ricordo delle città di Sodoma (v. 12), città simbolo dei
pagani.
– il numero simbolico di 70 o 72. Esso può riferirsi a Gn 10: l’elenco dei popoli, la
discendenza dei figli di Noè. Il loro numero (70 per la Bibbia masoretica, 72
per la Bibbia dei LXX) simbolizza il mondo pagano. Oppure può provenire da Nm 11,24-30: Dio ha dato lo
spirito profetico ai 70 anziani scelti da Mosè, ma anche a due uomini che erano
rimasti nell’accampamento, in totale dunque 72 uomini.
Viene dunque prefigurata la missione post-pasquale, quando la
vicinanza del Regno sarà proclamata a tutti i popoli, senza eccezione. E di
questa missione vengono indicate le caratteristiche fondamentali. Anzitutto è
una missione apportatrice di bene: entrando in una casa i discepoli devono
augurare la pace e cioè la pienezza dei beni messianici; entrando in una città
essi devono annunciare il regno di Dio con le opere (guarendo i malati) e con
le parole. Viene offerta a tutti gli uomini la salvezza di Dio; è necessario
però rendersi conto della gravità che un eventuale rifiuto riveste.
Seguiranno poi
due brani molto importanti sulle caratteristiche del discepolo: la carità verso
il prossimo (il buon Samaritano, Lc 10,25-37), ma una carità che si fondi
sull’ascolto della Parola di Dio (Marta e Maria, 10,38-42).
 
Riflettere
sulla Parola
(Meditare)
v. 1: Dopo questi
fatti il
Signore designò altri settantadue
I fatti a cui
Luca si allaccia sono gli insegnamenti riguardanti la sequela di Gesù.
All’insegnamento segue l’invio. Ognuno ha ricevuto
la Parola di Dio.
L’iniziativa della chiamata e dell’invio è del Signore,
padrone della messe; ai discepoli corrisponde la disponibilità nella risposta. Questo
significa che l’uomo non è gettato nella vita per andare verso la morte, ma è
chiamato per nome; Dio manda per lui dei messaggeri per portargli la sua
parola.
Il numero di
questi discepoli in alcuni manoscritti è 72, in altri 70. Si tratta di un
numero evocativo che ritroviamo nel Pentateuco. In particolare, si tratta di
una effusione dello Spirito per una missione particolare.
C’è una missione
a cui il Signore incarica altri discepoli che non sono gli Apostoli e che
rimane valida grazie all’opera dello Spirito.
e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per
recarsi.
L’andare a due a due era un modo di difendersi e di
aiutarsi in caso di pericolo. Essere in due è essere in comunione almeno con
un’altra persona, perché la testimonianza sia credibile
(cfr. Dt 19,15). Così andarono Pietro e Giovanni (At 3-4; 8,14); Barnaba e
Saulo, inviati dalla comunità di Antiochia (At 13,1-4). L’annuncio del Vangelo
non è lasciato all’inventiva solitaria, ma è opera di una comunità di credenti.
Sia pure piccola, come nel caso dei genitori, primi educatori della fede dei
loro figli. L’impegno di annunciare il Vangelo assieme ad altri non è solo una questione
di maggiore efficacia, ma perché il farlo assieme è espressione di comunione e
garanzia della presenza del Signore: «Dove sono due o tre lì sono io in
mezzo a loro»
(Mt 18,20).
Inoltre, sono portatori del messaggio di un’altra persona;
non sono proprietari o protagonisti, sono precursori di Qualcuno che è più
importante, che verrà dopo, per la cui venuta essi devono preparare le menti e
i cuori dei destinatari, che sono su tutta la faccia della terra.
v. 2: Diceva loro: La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai.
L’immagine del
campo pronto per la mietitura era legata alle profezie apocalittiche (cfr. Gl
4,13 e Is 27,12). Le messi mature indicano le nazioni che si dovranno
sottoporre al giudizio di Dio. Egli manda i suoi angeli per raccogliere Israele
o i popoli come frutto maturo. In Luca questa interpretazione si allarga: le
messi sono le nazioni a cui portare il Vangelo: esse sono innumerevoli mentre
gli evangelizzatori non sono mai sufficienti.
Oggi la situazione è la stessa di ieri. Le sfide della
missione variano, in parte, secondo i tempi e i luoghi, ma nella sostanza sono
ugualmente esigenti. E quindi valgono anche oggi le stesse soluzioni che Gesù
proponeva allora.
Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!
Bisogna pregare, perché la missione non può venire dalla
decisione degli uomini.
Annunziare il Regno di Dio non significa annunziare una
verità che io ho capito, ma vuol dire annunciare qualcosa che Dio compie e
questo annuncio è legato a una missione del Signore.
La preghiera sta ad indicare che ci troviamo dentro al Regno
della grazia e non al regno dell’autoaffermazione umana. È una preghiera che
porta a compimento, realizza il desiderio di Gesù, un desiderio legato alla sua
compassione. Dobbiamo pregare il padrone della messe, il Padre, perché ci siano
persone che pongano mano alla messe che è Gesù. Gli operai sono chiamati ad
essere mandati alla messe, cioè al Cristo. Questa è la prospettiva di ogni
discepolo.
v. 3: Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi
L’imperativo usato è un invio esplicito. Il Signore ci manda
come “agnelli in mezzo ai lupi”,
invia per una strada piena di pericoli, ostilità, violenza nei confronti dell’annuncio del Vangelo
(i lupi), anticipando quello che sarà Lui in pienezza: vero agnello della vera
Pasqua.
Ai discepoli indifesi, Gesù chiede di essere come Lui, rivestiti
solo di Lui. L’agnello richiama l’Agnello pasquale e il servo sofferente che
porta il peccato del mondo: il Crocifisso.
v. 4: Non portate borsa, né sacca,
né sandali
Qui iniziano delle indicazioni per uno stile di vita. Esse sono del
tutto simili a quelle che Gesù aveva già dato agli apostoli in Lc 9,1-6.
Lo stile della missione deve essere libertà e distacco. Le modalità della missione sono già missione. Non è solo
importante il fine: i mezzi sono importanti almeno quanto il fine. C’è un modo
di andare che dice che abbiamo raccolto Cristo, nostra messe, che è l’andare
come agnelli in mezzo ai lupi, senza che ci sia una garanzia. Le vicende della
guerra ci hanno insegnato che siamo poco inclini, in quanto Chiesa, ad assumere
la condizione degli agnelli. Il discepolo deve affidarsi alla Provvidenza e
alla generosità di quanti incontrerà.
Tra i divieti vi
è anche quello di portare i sandali, ciò vuol indicare un
servizio umile e disinteressato.
Non fermatevi a salutare nessuno
lungo la strada.
Il non fermarsi significa che non si deve perdere tempo con le cose che non
appartengono alla missione. È possibile che sia un’evocazione dell’episodio
della morte del figlio della sunammita, dove Eliseo dice all’impiegato:
“Parti! Se qualcuno ti saluta, non rispondergli” (2Re 4,29), perché
si trattava di un caso di morte. Luca vuole raccomandare
il non farsi
distrarre dall’impegno missionario.
Annunciare la Buona Novella di Dio
è un caso di vita o di morte!
vv. 5-6: In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa.
I discepoli di Gesù quello che possono portare con loro è
solo la pace. Ciò significa che devono confidare nell’ospitalità della gente. Così il discepolo che va senza nulla
portando appena la pace, mostra che ha fiducia nella gente. Il dono della
pace
(lo Shalom) nel senso biblico più completo, per le persone e le famiglie. È un
impegno solenne e positivo, che solo può compiere chi si presenta come un
agnello. La pace è il dono messianico per eccellenza; Gesù l’ha già donata a
qualcuno, soprattutto nel dono del perdono; e, nella sua passione, egli
diventerà «la nostra pace», quando ci riconcilierà definitivamente con il
Padre. La pace è il dono e il saluto privilegiato del Risorto. Dopo la sua
risurrezione, salutare con il saluto della pace non è un continuare la pur
sempre lodevole abitudine del tempo, ma significa comunicare e augurare la
salvezza, la riconciliazione con Dio e tra gli uomini. Il discepolo è
essenzialmente un portatore di pace, un costruttore di pace.
Se vi sarà un figlio della pace,
la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.
L’espressione
semitica «figlio della pace» ha diversi significati: uomo pacifico, aperto alla
pace, destinato alla pace.
Il saluto di «pace» appare come una realtà salvifica capace, se viene
accolta, di ottenere effetti concreti nella vita della casa, di rendere
efficace in essa la forza del Regno annunciato da Gesù (vedi l’episodio di
Zaccheo Lc 19,1-10). Questa pace è la password per aprire anche le serrature
più arrugginite. E non va sprecata e tanto meno vanificata, al punto che Gesù
precisa “altrimenti tornerà a voi”. La «vostra» pace è quindi quel dono
salvifico
di Gesù che i messaggeri
sono incaricati di portare. Essa «riposerà»: verbo che nell’AT è utilizzato per
parlare dello Spirito di Dio (Nm 11,25;
2Re 2,15).
vv. 7-8: Restate
in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha
diritto alla sua ricompensa
I discepoli
non devono andare di casa in casa, ma rimanere nella stessa casa. Cioè
devono convivere in modo stabile, partecipare nella vita e nel lavoro della
gente del luogo e vivere di ciò che ricevono in cambio, perché l’operaio
merita il suo salario.
Il “diritto
alla ricompensa” è un elemento che è entrato in un secondo momento e
riflette le esigenze dei predicatori del Vangelo del primo secolo. Ne è
portavoce autorevole Paolo (es. 1Cor 9,14).
Il valore comunitario della convivenza fraterna prevale
sull’osservanza delle norme rituali. Agendo così, criticavano le leggi della
purezza che erano in vigore, ed annunciavano un nuovo accesso alla purezza,
all’intimità con Dio.
Non passate da una casa all’altra.
Questo secondo imperativo vuole impedire al discepolo di dare
l’impressione di essere un incostante o di ricercare comodità che non possono
dargli i primi che l’hanno accolto. Eppure, sono questi i più degni di fare
della loro casa, in quella città, il centro di diffusione del messaggio. Non
possono essere privati di questo loro bene. Ed è con loro che si condivide
anche il cibo.
Questi versetti corrispondono però anche alla visione di
Luca, per il quale la vera meta dell’attività missionaria è la città. Per lui,
la casa rimane l’alloggio base degli evangelizzatori, e la ripetizione della
regola sul mangiare si riferisce a i vv. 5-7 e quindi alla funzione della casa
nella prospettiva della predicazione nella città.
vv. 8-9: Quando entrerete
in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto
A partire da
questo versetto, l’attenzione si rivolge alla città come luogo della missione.
Dalla
casa si passa alla città. Il fatto che all’accoglienza è legata subito al cibo
può essere un indizio che questo fosse uno dei problemi più grossi per i
predicatori del Vangelo dei primi tempi. Inoltre, faceva parte della
predicazione anche l’essere un “buon ospite”. L’invito a mangiare quanto
verrà offerto, indica che le città potranno essere anche città pagane e che
quindi non si attenevano alle regole alimentari degli ebrei.
Guarite i malati che vi si trovano
Accanto all’annuncio del Vangelo c’è anche
la cura degli ammalati.
Nelle
guarigioni Luca vede il segno della vicinanza del Regno di Dio come salvezza:
l’uomo riceve la sua integrità umana.
I discepoli devono occuparsi
dei malati, curare i lebbrosi e cacciare i demoni
(cfr. Mt 10,8). Questo
significa che devono accogliere dal di dentro della comunità coloro che da essa
furono esclusi.
La pratica della solidarietà critica la società che esclude
una persona dal resto della comunità. E così si recupera l’antica tradizione
profetica del «goêl». Fin dai
tempi più antichi la forza del clan o della comunità si rivelava nella difesa
dei valori della persona, della famiglia e della possessione della terra, e
concretamente si manifestava ogni “sette volte sette anni” nella celebrazione
dell’anno giubilare (Lv 25,8-55; Dt 15,1-18).
dite loro: “È vicino a voi il
regno di Dio”.
Per la prima volta Luca riporta la formula «il Regno di Dio è
vicino a voi», sintesi dell’annuncio centrale di Gesù (cfr. Mc 1,15). Riguardo al significato
originale, il problema è di conoscere il senso esatto del verbo
eggizein, che normalmente significa «avvicinarsi», ma che, al perfetto, può
acquistare la sfumatura di una prossimità immediata, di una vicinanza tale da
diventare presenza. Il Regno di Dio è vicino perché Gesù è vicino. È la
prossimità del Signore, del Risorto, grazie all’annuncio dei suoi missionari. I
messaggeri annunciano la forza salvifica del Regno presente nella loro attività
che è quella del Risorto.
Annunciare il Regno non è in primo luogo insegnare verità e
dottrine, ma portare le persone ad un nuovo modo di vivere e di convivere, ad
un nuovo modo di agire e di pensare, partendo dalla Buona Novella che Gesù ci
annuncia: Dio è Padre, e quindi noi siamo fratelli e sorelle gli uni degli
altri.
vv. 10-11: Ma quando entrerete in una città e non vi
accoglieranno, uscite
sulle sue piazze
Qui viene contemplata la possibilità di un rifiuto. Gesù, come ha
detto ai dodici, comanda ancora una volta di scuotere la polvere dai piedi,
mettendo tutti di fronte alle proprie responsabilità.
E dite: “Anche la polvere della
vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo
contro di voi; sappiate però che
il regno di Dio è vicino”.
Il gesto dello
scuotere la polvere dai piedi lo compiva ogni pio israelita quando varcava il
confine di ritorno da paesi pagani. Questo significava che egli non voleva
portare con sé niente di quelle terre impure. Lo scuotere la polvere di una
città che non aveva accolto la Parola era dunque un gesto forte che indicava il
rifiuto di qualsiasi comunione ulteriore. In Marco questo gesto doveva essere
compiuto uscendo dalla città ostile, mentre per Luca questo andava fatto nella
piazza con alcune parole che giustificavano il gesto. Ciò sottolinea la gravità
dell’atteggiamento di rifiuto da parte dei cittadini e poteva essere un gesto
estremo per una ulteriore conversione.
v. 12:
Io vi dico che, in quel giorno, Sodoma sarà trattata
meno duramente di quella città».
Quanto sia urgente il messaggio si percepisce anche
dal fatto che è forte la condanna per coloro che non intendono accettarlo, essi
sono considerati peggiori dei famigerati peccatori di Sodoma (Gn 19). Si noti
però che si dice che ciò avverrà nel giorno del giudizio, non adesso: al rifiuto
non segue immediatamente il castigo, la condanna; Dio continua ad offrire tempo
ai peccatori per convertirsi.
Il valore escatologico dell’annuncio di Gesù viene trasferito
sulla missione dei suoi messaggeri: anche il loro annuncio ha carattere
escatologico, e quindi le città che rifiutano la loro proclamazione sono
minacciate dal medesimo giudizio di quelle che hanno respinto Gesù.
Il rifiuto dei messaggeri è seguito da una parola di giudizio
che funge da legame tra Lc 10,10-11
e Lc 10,13-15. Più che un
senso di vendetta contro le città che non accolgono il Vangelo, è un mettere in
luce la serietà della decisione richiesta dinanzi all’annuncio della venuta del
Regno di Dio; comunque esiste qualche tensione con l’insegnamento emerso in Lc 9,51-56.
v. 17: I settantadue tornarono pieni di
gioia, dicendo: «Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Saltiamo
alcuni versetti per riprendere il mandato dei 72 discepoli. Non sappiamo cosa
sia successo durante la missione, qui Luca descrive il ritorno pieno di gioia a
seguito di un grande successo missionario.
Il successo missionario è descritto come sottomissione dei
demoni,
La
Parola di Dio, infatti, libera gli uomini dal male. La lotta con i demoni,
infatti, si compie nel nome di Gesù. Soprattutto negli Atti si vedrà la potenza
di questo nome.
Inoltre, implica l’estendersi del
tempo della salvezza come tempo di gioia alle nazioni.
La sottomissione dei demoni può destare meraviglia a questo
punto, poiché i discepoli erano stati inviati a guarire e predicare. L’accenno
al potere di espellere i demoni si legge solo all’invio dei Dodici. Questo può
suggerire che non c’è distinzione di poteri tra i Dodici e i Settantadue nel
campo della missione. Questo potere sui demoni mostra che Luca vede la missione
come confronto con le forze sataniche del male, una liberazione dell’uomo che
si trova sotto tale potere significato dalle malattie.
v. 18: Egli disse loro:
Vedevo Satana cadere dal cielo come folgore.
Perché Satana cadde dal cielo? Satana cadde a causa
dell’orgoglio. Egli desiderò essere Dio, piuttosto che essere un servo di Dio.
La caduta di Satana dal cielo è descritta in maniera simbolica in Is 14,12 ed
Ez 28,12-18. Mentre questi due passi si riferiscono specificamente ai due re di
Babilonia e di Tiro, si riferiscono anche al potere spirituale dietro quei re,
chiamati Satana. Il fatto che Satana cade dal cielo lo troviamo anche in Genesi
e nel libro di Giobbe e va messo in prospettiva escatologica.
Con l’annuncio della vicinanza del Regno di Dio, Satana ha
perso il potere di accusatore nei confronti di Israele: Dio offre di nuovo e in
modo definitivo la sua grazia salvifica al popolo. La caduta di Satana è già
una realtà: l’agire salvifico di Dio è all’opera, il suo Regno è già presente e
tende con tutta forza verso il pieno compimento. Quando gli eserciti di Dio
marciano nel nome di Gesù, Satana non ha il potere di fermare quella marcia vittoriosa:
la volontà di Dio viene fatta, il nemico è in fuga e nulla può fermare i
propositi dell’Altissimo.
v. 19: Ecco, io vi ho dato il potere di
camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla
potrà danneggiarvi.
Con questo versetto Luca pone l’attenzione sulla protezione
ricevuta: gli evangelizzatori non camminano sui serpenti e gli scorpioni per
schiacciarli come un nemico vinto, ma possono camminare sopra queste bestie
pericolose senza danno, senza essere vittime dei loro morsi. La protezione
divina dei discepoli si estende anche contro le numerose e varie manifestazioni
nocive – seduzioni e tormenti – che Satana può recare all’uomo, e che i
messaggeri dovranno affrontare: avranno da Dio il potere di superarle.
v. 20: Non rallegratevi però perché i
demoni si sottomettono a voi
È la gioia legittima di chi vede i frutti della sua attività,
e i settantadue, avevano visto i demoni sottomettersi a loro, che predicavano
ed operavano nel nome di Cristo; un entusiasmo che dava loro coraggio e li
riempiva di esultanza. Da qui l’invito prezioso che Gesù rivolge ai discepoli è
un invito a non rallegrarsi del potere che possono esercitare. L’orientamento è
ai cieli. Il segno di una Chiesa orientata al cielo è una Chiesa che non
gioisce del potere che ha, ma è una Chiesa che si sa al servizio.
C’è una gioia più profonda e sicura che proviene dall’essere
amati e scelti da Dio. Una priorità data alla salvezza individuale e un
orientamento all’essenziale, che prepara le esortazioni della seconda parte del
capitolo (vv. 25-42). La gioia vera, quella profonda, duratura, inalterabile e
che niente e nessuno potrà mai intaccare, non viene, infatti, dalle mutevoli
vicende temporali, ma nasce dall’eterna comunione col Dio che salva.
rallegratevi piuttosto perché i
vostri nomi sono scritti nei cieli.
Il profeta Isaia già aveva messo in rilievo come la missione
del profeta sia strettamente legata al piano di Dio. È lui che per mezzo nostro
consola, restituisce la gioia della vita, nutre, fa crescere, rende la società
prospera e la fa vivere in pace. È sempre la paternità e fecondità di Dio che
siamo portati a trasmettere. San Paolo osa dire, da Apostolo, che il
missionario porta in sé le stigmate, i segni di riconoscimento di Gesù
Crocifisso (Gal 6,17), del dono, della Missione di Cristo, il solo missionario
che fa della vita nostra partecipazione alla sua missione.
 
Ci fermiamo in
silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio
sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La
Parola illumina la vita e la interpella

Mi sono mai
sentito mandato ad annunciare la Parola con le parole ma anche con la testimonianza
di vita?
In cosa consiste la mia testimonianza
del Vangelo senza borsa, bisaccia e sandali? Quali difficoltà incontro nel
realizzarla?
Sono una persona che sa
accogliere ciò che gli viene offerto dagli altri?
Che
cosa significa per me oggi che il “regno di Dio” è vicino?
Sento la gioia
di appartenere a Cristo? Che cosa mi rallegra di più?
 
Pregare Rispondi a Dio con le
sue stesse parole

Acclamate Dio, voi tutti della
terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue
opere!».
 
«A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo
nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli
uomini.
 
Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di
gioia.
Con la sua forza domina in eterno.
 
Venite, ascoltate, voi tutti che
temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia
preghiera,
non mi ha negato la sua
misericordia. (Sal 65).
 
L’incontro con
l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità
(Contemplare-agire)
Abbandoniamoci
all’azione dello Spirito Santo per
ritrovare lo stupore dell’ascolto
della Parola di Dio che giunge ai nostri orecchi attraverso l’inviato di Dio.
C’è una parola di Dio per te! Dare all’uomo il vangelo significa dargli il
motivo fondamentale per cui vivere, significa dargli la forza e l’energia per
superare i tanti momenti di avvilimento, di stanchezza, di fatica che inevitabilmente
stanno dentro alla nostra vita.

 

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