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LECTIO: XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Lectio divina su Lc 18,1-8

 


Invocare
O Dio, che per le mani alzate del tuo
servo Mosè hai dato la vittoria al tuo popolo, guarda la tua Chiesa raccolta in
preghiera: fa’ che il nuovo Israele cresca nel servizio del bene e vinca il
male che minaccia il mondo, nell’attesa dell’ora in cui farai giustizia ai tuoi
eletti che gridano giorno e notte verso di te. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
1Diceva loro una parabola sulla necessità
di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un
giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella
città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi
giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli
non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo
per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò
giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E
il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E
Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso
di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro
giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla
terra?».
 
Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola
di Dio
 
Dentro il Testo
In Luca si trova un
insieme di brani che trattano un tema comune: la venuta del Figlio dell’uomo,
che vengono interrotti dalla domanda del fariseo sulla venuta del Regno di Dio
(17,20). 
Qui Luca compone diverse dichiarazioni singole per una triplice
risposta a questa venuta: essa è misteriosa, visibile solo alla fede; arriverà all’improvviso e
inaspettata; verrà come risposta di Dio all’incessante chiamata del suo
prescelto.
Nel capitolo 18 troviamo Luca che
conclude il lungo insegnamento sulla fede, che aveva iniziato nel capitolo
precedente con la richiesta dei discepoli a Gesù: “Accresci la nostra fede”.
La parabola di questa domenica ha la funzione di invitare a
mantenersi costanti e fedeli al Vangelo nella preghiera, senza cadere nella tentazione
dello sconforto e della demotivazione
.
Sullo sfondo abbiamo una
persecuzione ai danni dei cristiani. Gli “eletti”, cioè quelli che Dio ha
scelto per essere suoi, stanno soffrendo la persecuzione e gridano al Signore
perché faccia loro giustizia. Luca racconta questa parabola per aiutare a
perseverare nel momento della difficoltà e a chiedere con insistenza al Signore
che faccia loro giustizia.
Quindi il fine di questo brano è la
giustizia divina e il mezzo è la preghiera.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 1: Diceva loro una parabola sulla necessità di
pregare sempre, senza stancarsi mai.
Quest’introduzione
ha lo scopo di collegare la parabola con la «piccola apocalisse» precedente,
suggerendo un comportamento adatto al tempo dell’attesa. Il tema centrale qui
non è la preghiera come può far intendere il versetto, ma la richiesta di
giustizia. La preghiera è introdotta come terapia per non incattivirsi.
La
raccomandazione di “pregare senza stancarsi” appare molte volte nel
NT (cfr. 1Tes 12,12; Ef 6,18). Era una caratteristica della spiritualità delle
prime comunità cristiane. Ed anche uno dei punti in cui Luca insiste
maggiormente nella sua unica opera. Questa necessità è legata al Figlio dell’uomo
che bisogna che sia crocifisso. In parallelo anche la preghiera ha la stessa
necessità di Dio amore.
Questa
parabola a chi è rivolta? È rivolta a coloro che stanno subendo persecuzioni
(ancora oggi) a causa della fede. Gesù rivolge loro parole di incoraggiamento –
senza stancarsi – vivendo questo tempo con la preghiera. Giobbe ricorda che la
vita dell’uomo sulla terra è una continua tentazione (Gb 7,1) per questo
occorre vigilare e pregare (cfr. 1Pt 5,8).
Pregare
sempre non significa dire parole 24 ore su 24, ma avere sempre ben presente che
c’è Qualcuno che mi vede, mi sente, ha cura, ha attenzioni, c’è qualcuno che mi
ha fatto, mi ha voluto, e le sue impronte digitali sono impresse indelebilmente
nel mio DNA. Da questa impronta nasce una relazione con Dio che si svolge e si
determina attimo dopo attimo, notte e giorno, dipanandosi lungo una vita
intera, «Sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui» (1Ts
5,10).
vv. 2-3: In una città viveva un giudice, che non
temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una
vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio
avversario”.
Qui
vengono delineate le caratteristiche dei due protagonisti della parabola: un
giudice e una vedova. Il giudice, colui che conosce bene la legge e la applica
in modo consono e adeguato alle varie situazioni e che per tutti deve essere
una persona retta, onesta. Ebbene qui è descritto in modo breve e incisivo come
la figura tipica dell’empio, che non teme Dio e non si cura del suo prossimo. È
un oppressore nel campo della giustizia sociale.
La
vedova viene descritta in modo conciso. Nella Bibbia le vedove, insieme agli
orfani, rappresentano una categoria indifesa non era considerata, a nessun
livello (politico, culturale, sociale, religioso) ed esposta all’oppressione,
perché prive di protezione contro gli sfruttatori e i prepotenti (cfr. Es
22,21-23; Is 1,17.23; 9,16; Ger 7,6; 22,3). Essa viveva solo grazie al marito,
alla sua ombra, ed era vagamente lodata per i suoi figli maschi. Una vedova era
considerata meno di zero, non esisteva, non aveva diritti, non aveva alcun
valore la sua opinione, scarto della società, la sua vita era considerata
inutile, se non anche dannosa.
La
protagonista del racconto appartiene a questa categoria, ma non è disposta ad
accettare il sopruso di cui è vittima; perciò, si rivolge al giudice per avere
giustizia.
In
questo atteggiamento insistente abbiamo un esercizio a vivere un’esistenza
contrassegnata da quella che i Padri chiamavano «memoria di Dio», di ricordare
cioè che Dio è costantemente all’opera nella nostra esistenza e nella storia:
questo ci condurrà a familiarizzarci con lui fino a discernere come vivere in
modo conforme alla sua volontà.
vv. 4-5: Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi
disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato
che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga
continuamente a importunarmi”.
Il
giudice non vuole fare il giudice, non vuole applicare la legge, non vuole
interessarsi di un caso per lui totalmente insignificante e rimanda a tempo
indeterminato il suo intervento. Ma la donna non si rassegna alla situazione e
fa ricorso all’unica arma in suo possesso, l’insistenza.
Il
giudice è una persona cinica alla quale interessa soltanto il proprio interesse
e non i bisogni delle persone. Ma all’insistenza della donna cambia pensiero.
L’evangelista usa il termine “importunarmi”. È curioso il termine che adopera
l’evangelista, che letteralmente è “a farmi un occhio nero”. Fare un occhio
nero non significa tanto il ricevere un pugno in un occhio, ma è un’espressione
che significava “danneggiare la reputazione”. Alla fine, il giudice, se non
altro per liberarsi di tale molestia, cede e fa giustizia alla donna: ciò che
prevale in lui non è il senso del dovere, ma il desiderio di non essere più scocciato
dalla vedova.
vv. 6-7: E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che
dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che
gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo?
Qui
Gesù propone la sua interpretazione della parabola. Egli richiama l’attenzione
dei discepoli non tanto sull’insistenza della donna, a cui sembrava rimandare
l’introduzione, ma piuttosto sul giudice.
Nelle
sue parole Gesù esprime il pensiero fondamentale della parabola, facendo la
differenza tra il giudice e Dio. Se un giudice disonesto per motivi egoistici
acconsente alle richieste insistenti di una vedova, quanto più Dio, che è padre
buono, ascolterà le grida di implorazione dei suoi eletti. È l’atteggiamento
del giudice il punto sul quale Gesù fa leva per illustrare il comportamento di
Dio. Egli esprime il suo punto di vista con una domanda: «Ma Dio non farà
giustizia per i suoi eletti che gridano a lui giorno e notte?»
In
base al metodo rabbinico chiamato qal
wahomer
(ragionamento a fortiori), egli afferma che, se un giudice, per di
più empio, alla fine si decide a fare giustizia alla vedova, maggior ragione
Dio farà giustizia per i suoi eletti, dal momento che è un Padre premuroso e
giusto.
L’espressione
«fare giustizia (ekdikêsin)», usata sia per il giudice che per Dio, significa
difendere i diritti di una persona, darle ragione, garantirle quello che le
spetta. Per gli eletti, anche quando non sono oggetto di persecuzione, ciò
significa proclamare pubblicamente, mediante l’attuazione piena del regno, che
le loro scelte erano giuste e conformi alla volontà di Dio. Proprio la certezza
che ciò avverrà rappresenta il punto saliente della parabola.
C’è
ancora una domanda di Gesù: «E tarderà nei loro riguardi?». Egli dice che il
tempo dell’attesa sarà breve: Dio farà presto giustizia agli eletti che gridano
a lui. Questa idea però non è in sintonia con quanto l’evangelista intende dire
nel suo vangelo, e cioè che la venuta finale del regno di Dio non è imminente.
Perciò è più conveniente leggere queste parole non come una domanda, ma come
una frase concessiva: «Anche se egli ha pazienza con loro».  
La
prospettiva del racconto è escatologica: la situazione della vedova rappresenta
quella degli eletti della comunità che sono in preda alle tribolazioni degli
ultimi tempi, descritte da Luca nel brano precedente. Il termine “eletto” nei
Vangeli sinottici viene utilizzato solo per indicare i credenti nel momento
della tribolazione e della prova legata ai discorsi apocalittici. L’eletto è
colui che sottoposto alla prova è capace di resistere per amore di Cristo. Luca
con questa parabola esorta quanti lamentano il “tardare di Dio” a perseverare e
a continuare con fiducia a chiedere aiuto a Dio, nonostante possano
sperimentare il suo silenzio.
v. 8: Io vi dico che farà loro giustizia
prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?
Gesù
conclude rassicurando i suoi discepoli: «Dio farà giustizia con celerità (en
tachei)». L’espressione en tachei non significa «con celerità», ma
«improvvisamente». In altre parole, il ritardo della parusia è una realtà con
cui bisogna fare i conti, nella certezza che Dio, dopo aver lungamente
pazientato, interverrà quando meno gli uomini se lo aspettano e farà giustizia
ai suoi eletti.
Luca
non fa altro che dire che l’intervento di Dio non è solamente sicuro, ma
accadrà prontamente. Certo la sua prontezza non è legata alla “bacchetta magica”
che andiamo cercando. La parte finale del v. 8 che chiude con una domanda è una
aggiunta posteriore, risponde a tutti noi con lo scopo di farci riflettere sulla
perseveranza nella fede. Il ritardo della parusia, l’ostilità e le persecuzioni
crescenti avevano provocato un raffreddamento nella fede dei credenti. La
comunità deve quindi ritornare a un genuino atteggiamento di vigilanza, perché
Gesù al suo ritorno non la trovi impreparata. È necessario avere molta fede per
continuare a resistere e ad agire, malgrado il fatto di non vedere il
risultato. Chi aspetta risultati immediati, si lascerà prendere dallo sgomento.
La preghiera è ciò che mantiene viva la fede del
credente nel tempo che lo separa dal ritorno del Figlio dell’uomo. Fede e
preghiera ottengono un orientamento escatologico. Per fede qui si intende
l’esistenza del cristiano vissuta nella vigilanza e nella fedeltà, fedeltà al
Vangelo che viene mantenuta nel momento della prova. Bisogna pregare senza
stancarsi e la fede è questa preghiera instancabile, è la ricerca, il desiderio
continuo di Lui. Oggi, nessuno lo desidera sulla terra, per questo non può
venire. È già venuto una volta e l’abbiamo messo in croce e lo mettiamo costantemente
in croce, in tutti i poveri cristi del mondo.
Qui abbiamo la fede: nella relazione con Lui che è
amore e che fa sì che possiamo amare come siamo amati. Allora il Regno di cui si
parla è già in noi, nella nostra quotidianità.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita.
Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia
largamente ricompensato
 
La Parola illumina la
vita e la interpella

Avverto Dio come un Padre che
si prede cura anche di me? Nei momenti di difficoltà con quanta convinzione e
pazienza lo invoco?
Pregare sempre: come attuo questo
comandamento nella mia vita? Come vivo la mia preghiera? Quali fatiche provo e
quali attenzioni metto in campo per superarle?
Quando il Figlio di Dio verrà, mi
troverà addormentato, avvilito, riunito in seduta permanente, oppure sveglio,
attivo e vigilante?
Riesco a pensare alla
mia vita cristiana come relazione con Gesù? Un itinerario che mi porterà
all’incontro finale con Gesù?
 
Rispondi a Dio con le
sue stesse parole
(Pregare)
Alzo
gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?
Il
mio aiuto viene dal Signore:
egli
ha fatto cielo e terra.
 
Non
lascerà vacillare il tuo piede,
non
si addormenterà il tuo custode.
Non
si addormenterà, non prenderà sonno
il
custode d’Israele.
 
Il
Signore è il tuo custode,
il
Signore è la tua ombra
e
sta alla tua destra.
Di
giorno non ti colpirà il sole,

la luna di notte.
 
Il
Signore ti custodirà da ogni male:
egli
custodirà la tua vita.
Il
Signore ti custodirà quando esci e quando entri,
da
ora e per sempre. (Sal 120).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella
quotidianità

(Contemplare-agire)

Accogliamo
dentro il nostro cuore il sano rimprovero di Gesù, il suo sano realismo, la sua
sconcertante provocazione. Conserviamo la fede nelle avversità, non demordiamo,
non molliamo, ma continuiamo con costanza la disarmata e disarmante battaglia
del Regno. Amen.

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