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LECTIO: II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno A)

Lectio
divina su Gv 1,29-34


 
Invocare
O Padre, che in Cristo, agnello pasquale e luce
delle genti, chiami tutti gli uomini a formare il popolo della nuova alleanza,
conferma in noi la grazia del battesimo con la forza del tuo Spirito, perché
tutta la nostra vita proclami il lieto annunzio del Vangelo.
Per Cristo
nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
29Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui disse: “Ecco
l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è
colui del quale ho detto: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché
era prima di me. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare
nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele”.
32Giovanni testimoniò dicendo: “Ho contemplato lo Spirito
discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non
lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi
disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che
battezza nello Spirito Santo. 34E io ho visto e ho testimoniato che
questi è il Figlio di Dio”.
 
Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola
di Dio
 
Dentro il Testo
La celebrazione del Battesimo del Signore ha segnato la
chiusura del Tempo di Natale per dare inizio alla prima Domenica del Tempo
Ordinario.
Questa domenica celebriamo la II Domenica del Tempo Ordinario
e ci troviamo ancora nel luogo dove il Battista amministra il battesimo di
conversione. Quale scenario si presenta questa domenica? Il battesimo di Gesù era
già avvenuto. Successivamente il Battista fu interrogato dagli avversari, dai detentori
del potere che lo ritenevano scomodo e da questo interrogatorio capisce la sua
identità. Ora, per tutti noi, l’
Evangelista
dopo il prologo (Gv 1,1-18) versetti difficili che vanno al di là delle
capacità umane e che hanno fatto sì, che l’evangelista Giovanni meritasse il
titolo di “aquila”, apre con la solenne testimonianza di Giovanni Battista.
Il brano odierno ci fa collocare «al giorno dopo» (v.29) e lì
Giovanni incontrando Gesù lo presenta come l’Agnello di Dio.
Questo brano, che la Liturgia propone
nella
II domenica del Tempo Ordinario, è comune nei tre
cicli liturgici e
rientra in
quelle “scene” (sono 4) che preparano le nozze di Cana.
Come Marco, l’evangelista Giovanni
omette gli episodi della nascita e dell’infanzia di Gesù; e inizia il suo
racconto, descrivendo la comparsa sulla scena del Battista però, a differenza
dei sinottici, non riporta la predicazione di questo profeta ma la
testimonianza solenne resa a Gesù luce del mondo, proclamandolo Agnello di Dio,
che toglie il peccato del mondo, e riconoscendolo come l’eletto di Dio che
battezza con lo Spirito Santo. I sinottici invece presentano la persona del
Battista
come precursore e il suo
operato fino alla morte
.
L’evangelista Giovanni attraverso le
parole del Battista vuol portarci a capire il battesimo che già anche noi
abbiamo ricevuto tanto tempo fa e abbiamo dimenticato cos’è e che cosa
significa.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 29: Il giorno dopo, vedendo Gesù
venire verso di lui disse: Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato
del mondo!
Il versetto inizia partendo dal «giorno
dopo»
la visita di una delegazione inviata dall’autorità di Gerusalemme,
per capire l’identità del Battista e del suo operato e per vedere se di quanto andava
dicendo era contrario alla Torah.
Il Battesimo di Gesù era avvenuto
quasi in sordina per il Battista, si rende poco alla volta di quanto è accaduto
e poi ne ha reso testimonianza (vv. 19-28).
Ora Giovanni incontra nuovamente
Gesù, l’uomo di cui ha reso testimonianza, e lo indica invitando a guardare Lui
che è la Luce; facendo un passo indietro, invita a guardare Lui: l’Agnello di
Dio.
Il Battista indicando Gesù come
Agnello di Dio, ci chiede di tenere d’occhio Gesù non per controllare cosa fa,
ma perché se vogliamo seguirlo, siamo chiamato ad essere agnello di Dio come
Lui.
L’espressione Agnello di Dio allude
al “Servo del Signore” che Isaia, nell’annunciare in anticipo la sua passione,
paragona a un «agnello condotto al macello», aggiungendo anche che «portava
il peccato di molti»
(Is 53,7.12). Agnello di Dio è un titolo messianico e
rimanda all’agnello pasquale che, sacrificato nel tempio, veniva poi consumato
nella cena pasquale, una festa notturna celebrata in famiglia.
L’evangelista non fa altro che
ricordare che Gesù è l’Agnello pasquale che con il suo sacrificio libera
definitivamente l’umanità. Questa è l’opera dell’“Agnello che toglie il peccato del mondo”.
Una delle cose che possiamo attenzionare
è l’uso singolare che abbiamo nel Vangelo, che facilmente nella popolarità la
trasportiamo al plurale. Giovanni usa il singolare, perché non parla dei
peccati degli uomini, ma dell’Agnello di Dio che toglie, addossandosi
quell’unico e grande peccato.
Il peccato
del mondo di cui si parla è tutto ciò che è inumano, corrotto, che impedisce il
rapporto con Dio, perché quel peccato apre ad ogni peccato, toglie la libertà e
la dignità a ogni donna e a ogni uomo. Questo mondo per essere umanizzato ha
bisogno del sacrificio dell’Agnello.
Infatti, ogni
peccato ha in sé la disobbedienza a Dio, in modo più o meno grave. Cristo ha
tolto, si è caricato su di sé il peccato del mondo con la sua obbedienza. Egli
è Colui che ci rende liberi da ogni forma di male e farci vivere da figli di Dio.
vv. 30-31: Egli è colui del
quale ho detto: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di
me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse
manifestato a Israele.
In questi versetti, l’Evangelista non fa altro che affermare quanto
il Battista ha già testimoniato.
Giovanni,
benché sia parente di Gesù, nato solo sei mesi prima, dice che non lo conosceva
(lo ripete per ben due volte); fatto impossibile secondo l’informazione umana. Giovanni
sicuramente non conosceva questi lineamenti del prescelto, aveva in mente un
altro Messia, mai si sarebbe aspettato di vederlo fra i penitenti per ricevere
un battesimo per il perdono dei peccati mai commessi. Questo, però, è l’agire
di Dio.
In queste parole e fatti, abbiamo un
invito a spogliarci dal vecchio modo di pensare e vedere Dio per poter
incontrare
«la Luce vera, quella che illumina ogni
uomo»
(Gv 1,9). Giovanni, infatti, non
conosceva il Nome e il Volto di Colui-che-viene, ma sa che deve anzitutto
manifestarsi ad Israele, il popolo dell’alleanza; la sua attività battesimale
aveva infatti il preciso scopo di preparare gli uomini alla venuta del Messia
secondo le parole dell’angelo a Zaccaria suo padre (cfr. Lc 1,16-17) e non di
battezzarlo. Anche quest’aspetto faceva parte del disegno di Dio. Il Battista
quando ha scoperto che il Messia è l’Agnello di Dio ha colto la novità, l’ha
testimoniata e si è fatto da parte.
v. 32: Giovanni testimoniò dicendo: Ho contemplato lo Spirito
discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui.
Qui l’evangelista presuppone il
racconto sinottico del battesimo di Gesù (cfr. Mc 1,9-11 e paralleli) senza
tuttavia parlarne. Racconta, invece, quanto il Battista ha visto.
Quello che Giovanni contempla è lo
Spirito (non la colomba) che dimora su Gesù.
Il
contemplare di Giovanni è come quello descritto da Giovanni Climaco, il quale,
nella sua Scala celeste, dice: «L’esicasta
è colui che si sforza di circoscrivere l’incorporeo nel corpo».
Nella Bibbia lo Spirito Santo è la forza di Dio, la vita di Dio, è la forza con cui Dio ha
creato il mondo e che umanizza: è la ricchezza di amore con cui Dio ama
eternamente di un amore infinito. Ebbene, questo Spirito viene a dimorare su
Gesù.
Giovanni continua la sua testimonianza dicendo che la discesa dello Spirito Santo è «come
una colomba»
, non nella forma fisica del volatile, ma del suo modo di
volare che infonde fiducia ed è bello a vedersi.
«Come colomba» indica l’attaccamento della
colomba al proprio nido, che fa ritorno al proprio nido, come i piccioni
viaggiatori: tornano sempre al loro nido. Ora se lo Spirito Santo scende su
Gesù e in Lui vi rimane come fa la colomba col proprio nido, vuole dire che in
Lui lo Spirito Santo.
L’evangelista Giovanni sullo Spirito
che dimora o rimane in Gesù lo sottolinea
per dire che tutta la vita di
Gesù è stata animata interiormente dalla forza dell’Amore.
Al Re messianico era promessa la
dimora dello Spirito, la sua pienezza sapienziale; sul virgulto di Jesse,
infatti, «riposa» lo Spirito di Dio (Is 11,2), in modo permanente, «poiché Dio sta con lui» (cfr. At 10,38).
v. 33: Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a
battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo
Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo.
Per la seconda volta il Battista dice che non conosceva Gesù
(vedi v. 31). L’espressione rimanda a qualcosa di più della mancanza di una
conoscenza anagrafica. Pensandoci va bene così, perché Gesù è Dio e può essere
solo oggetto di rivelazione e di testimonianza.
Infatti, il riconoscimento da parte del Battista è il
risultato di una rivelazione divina; l’Inviante
(Dio
stesso o un suo angelo)
parlò a
Giovanni comunicandogli questo segno distintivo decisivo: lo Spirito discende e
si posa solo su Gesù, in Lui vi fa dimora.
I profeti dell’Antico Testamento
avevano preannunziato un’effusione dello Spirito nell’era messianica (cfr. Gal
3,1-2; Is 32,15; Zc 12,10); il Nuovo Testamento vede il compimento di questa
profezia nella Pentecoste e nel battesimo cristiano (At 2,16-18; 10,45; Rm 5,5;
Gal 4,6).
Battezzare nello Spirito Santo indica
anzitutto un dono abbondante dello Spirito Santo.
Fare dono dello Spirito Santo in abbondanza significa
“immergere” nello Spirito Santo, cioè nella pienezza infinita della
vita, dell’amore e della gioia di Dio. Ecco l’Agnello che immerge l’umanità
intera nel suo Spirito donandoci la sua vita divina. Ed è quanto avviene nel
battesimo cristiano. Inoltre, più in generale, si intende il dono permanente
dello Spirito che il Risorto, e soltanto Lui, fa alla Chiesa e che è sgorgato
dalla sua morte redentrice.
v. 34: E io ho visto e ho testimoniato
che questi è il Figlio di Dio.
I verbi in cui ruota questo
versetto sono “vedere” e “testimoniare”, anzi i due verbi sono collegati. Per
rendere testimonianza bisogna “vedere”. Il vedere di cui parla Giovanni è un
vedere in profondità, un vedere oltre l’orizzonte. Il Battista dice di Gesù che
è il Figlio di Dio. Ciò non è solo pura costatazione ma riconoscimento di un
mistero. L’Evangelista questo lo riprenderà in 1Gv 1,1-3: «Quello che era da
principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri
occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della
vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo
testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si
manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a
voi».
La vita di cui si parla è quella
eterna che “era presso Dio”. Essa è invisibile agli occhi umani, ma quello che
era divino si è fatto visibile e percepibile ai sensi dell’uomo: «… e noi
abbiamo visto la sua gloria»
(Gv 1,14).
Il riconoscere Gesù come Figlio di Dio è lo scopo di tutto il
vangelo di Giovanni (cfr. Gv 20,31). Giovanni Battista era arrivato a conoscere
questa realtà, egli ha visto e ne rende testimonianza.
Testimoniare che Gesù è il Figlio
di Dio è credere nella forza profetica scaturita dalla Parola di Dio che dona
senso pieno al nostro esistere. Ancora oggi questa testimonianza è credibile ed
è il dono più grande che possiamo fare a quanti incontreremo nel nostro
cammino. Però questa testimonianza sarà credibile solo se ci faremo immergere
nella vita divina, se cercheremo di unire la nostra vita alla Sua, se doneremo
come l’Agnello, la nostra vita per i fratelli.
 
Ci fermiamo in
silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio
sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la
vita e la interpella

Per il Battista il battesimo di
Gesù era passato in sordina, quasi dimenticato. Anche io ho dimenticato il mio
Battesimo?
Ecco l’Agnello di Dio! Questa espressione
l’ascolto sempre durante la Messa. Cosa significa per me?
Sono pronto a seguire l’Agnello di
Dio, ovvero, ad essere agnello di Dio nella quotidianità?
Sono sicuro/a di conoscere Gesù?
Da che cosa lo deduco? Posso dire che ogni giorno lo riscopro con un’impronta
di novità: la novità del suo insondabile Amore?
Sono cosciente che solo attraverso Gesù posso vincere il
peccato che è in me?
 
Rispondi a Dio con le
sue stesse parole
(Pregare)
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
 
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il
peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
 
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».
 
Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai. (Sal 39).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno
concreto nella quotidianità
(Contemplare-agire)
Nel silenzio del cuore, oggi,
riscopro la Parola per scorgere il Signore che passa e riconoscerlo. Lo vedrò
come l’ “Agnello che toglie il peccato del mondo”;
come colui che prende su di sé la mia fatica, la mia croce, i miei dubbi, le mie
incertezze, i miei peccati.


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