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LECTIO: III DOMENICA DI QUARESIMA (Anno A)

Lectio divina su Gv 4,5-42

 


Invocare
Dio
misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il
digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che
riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe,
ci sollevi la tua misericordia.

Per
Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
5Giunse
così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe
aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù,
dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa
mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le
dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città
a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice:
«Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna
samaritana?». I Giudei, infatti, non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù
le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi
da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli
dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove
prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro
padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo
bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà
di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà
più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente
d’acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore – gli dice la
donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a
venire qui ad attingere acqua». 16Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito
e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice
Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». 18Infatti hai avuto
cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il
vero». 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta!
20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che
è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice:
«Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme
adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi
adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma
viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in
spirito e verità: così, infatti, il Padre vuole che siano quelli che lo adorano.
24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e
verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia,
chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le
dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
27In
quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una
donna. Nessuno, tuttavia, disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con
lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e
disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto
quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città
e andavano da lui. 31Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì,
mangia». 32Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi
non conoscete». 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro:
«Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34Gesù disse loro: «Il
mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi
non dite forse: «Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura»? Ecco, io vi dico:
alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura.
36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna,
perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo, infatti,
si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38Io vi
ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi
siete subentrati nella loro fatica».
39Molti
Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che
testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40E quando i
Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là
due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e
alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché
noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del
mondo».
 
Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola
di Dio
 
Dentro il Testo
Nella
terza, quarta e quinta domenica di Quaresima l’evangelista Matteo lascia il
posto all’evangelista Giovanni con tre brani che sono stati utilizzati dalla
Chiesa delle origini per la catechesi di coloro che avrebbero ricevuto il
battesimo nella notte di Pasqua. Si tratta di tre brani piuttosto impegnativi:
la Samaritana, il cieco nato e la risurrezione di Lazzaro.
Per
comprendere il brano di questa domenica, è necessario collocarlo nel contesto
più ampio del quarto Vangelo, specie nella sezione riguardante i cc. 2-4,
denominata “il libro dei segni”.
Dopo
la celebrazione della prima Pasqua (Gv 2,13-22) seguono tre dialoghi di Gesù
con tre personaggi: Nicodemo: rappresentante della Giudea (Gv 3,1-11); la
Samaritana: giudaismo scismatico eretico (Gv 4,4-42); il Funzionario regio:
mondo pagano (Gv 4,43-54).
Siamo,
per Giovanni, davanti a tre proposte di fede fatte a diverse categorie di
persone per invitarle a scoprire
alcuni
aspetti particolari della persona di Gesù. Inoltre, si segnala il progressivo
aprirsi della missione di Gesù dalla Giudea alla Samaria, fino ai pagani (cfr.
At 1,8).
Il
brano è una scena d’incontro attorno ad un pozzo e questo richiama subito nella
Bibbia tante scene d’incontro. I patriarchi corteggiavano le loro fidanzate al
pozzo, come si usava anticamente. Giacobbe ha corteggiato Rachele e prima Lia,
poi ancora ha dovuto faticare per avere quella che gli piaceva di più e Mosè ha
corteggiato le sette figlie di una persona importante per sposarne alla fine
una. Nel Vangelo, anche il Signore corteggia una donna. Cosa vuol dire questo?
Quando leggiamo Giovanni, facciamo attenzione che l’Evangelista non dona fatti
di cronaca ma riletture spirituali, teologiche per una fede matura, facendo
anche riferimento a immagini varie che scorrono nell’Antico Testamento e che
alla fine facciamo ancora fatica a comprendere. Davanti abbiamo, anche
attraverso i vari personaggi, un’immagine pittorica, simbolica. Quindi bando
alle curiosità ma cerchiamo di cogliere qualche messaggio per la nostra vita
spirituale.
 
Riflettere
sulla Parola
(Meditare)
v. 5: giunse (Gesù) a una città della Samaria
chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo
figlio:
Sicar
corrisponde a Sichem. Sichem è il primo pezzo di terra promessa che Abramo ha
visto venendo dalla sua terra Ur dei Caldei, e lì Dio gli rinnovò le promesse e
alla quercia di Mamre, Abramo costruì un altare a Dio. Ma al narratore non
importa tanto la città quanto il ricordare che Gesù si ferma in un luogo che
era stato del patriarca Giacobbe, distante da Sicar 800/900 metri, un luogo
dove ha inizio la storia della salvezza. È attorno a questa memoria profonda di
una storia antica, antica come l’uomo, antica come l’acqua, come i desideri
dell’uomo, che si svolge l’incontro con il Signore della vita.
v. 6: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù, dunque,
affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno.
L’Evangelista
presenta l’immagine del pozzo o della fonte. Attorno a questa immagine ruota la
vita: si costruivano le abitazioni, passavano le strade, nascevano le città,
vicino ai pozzi si facevano tutti gli incontri e gli scontri. È il luogo del
desiderio e della contesa, aver il pozzo, avere l’acqua vuol dire aver la vita
e per questo si litiga; è il luogo degli amori e delle guerre, cioè tutta la
vita si svolge attorno al pozzo, che la rende possibile.
Gesù
viene a questo pozzo, si siede proprio qui. Lui che è la fonte dell’acqua viva,
si siede presso quella fonte d’acqua che non disseta, presso quella regione dove
l’acqua va scarseggiando, la fede vien meno.
E Gesù,
per la prima volta, viene presentato stanco dal viaggio, il viaggio che lui ha
compiuto per venire fino a noi l’ha affaticato.
L’Evangelista
indica anche un tempo in cui Gesù venne al pozzo: l’ora sesta. È un richiamo al
momento in cui Gesù viene definitivamente condannato alla crocifissione (Gv
19,14-15), dove dal suo costato trafitto uscirà sangue ed acqua (Gv 19,34). Proprio
lì sulla croce dirà: Ho sete (Gv 19,28), ho sete di dare l’acqua viva all’umanità.
v. 7: Giunge una donna samaritana ad attingere
acqua. Le dice Gesù: “Dammi da bere”.
Al
pozzo si presenta una donna. Più volte questo termine viene ripetuto nel
Vangelo. Gesù darà un significato particolare usandolo pochissime volte: Gesù
chiama “donna” solo sua madre Maria, a Cana e sotto la croce, Maria Maddalena
nel giardino dopo la resurrezione – è la sposa nuova – e la peccatrice perdonata
del capitolo ottavo. Quindi questa “donna” è importantissima.
Qui la
donna rappresenta il popolo, rappresenta la sposa, coloro che hanno sete di
qualcosa e ne approfittano del pozzo di Giacobbe. È l’ora più calda del giorno,
l’ora più intensa per avere sete, una sete che si fa desiderio, l’acqua infatti,
è il desiderio più materiale e fondamentale per l’uomo per vivere. Ma come non
si vive di solo pane, non si vive di sola acqua. Ci sta infatti una sete di
relazioni, una sete di amore che certamente la donna andava cercando.
Gesù
chiede da bere, sperimenta la sete del popolo ma esprime un desiderio maggiore.
Sembra che il desiderio della donna si stia incontrando col desiderio di Gesù.
Il desiderio di Gesù è sete di essere amato, perché Dio è amore. L’uomo è fatto
per amare, ha sete di amore. Fino a quando non trova l’amore non vive una vita
umana. Sì, anche Dio ha sete; ha una sete proporzionata alla sua grandezza. È
quell’innamorato che continua a sedurre. Ricordiamo Osea dove si dice: “Io
l’attirerò nel deserto, la sedurrò, parlerò al suo cuore” (Os 2,16). Cioè è
proprio un’azione di seduzione questa, di seduzione divina.
v. 8: I suoi discepoli erano andati in città a fare
provvista di cibi.
Questo
inciso sottolinea il fatto che Gesù è da solo. L’incontro con Dio è da farsi da
solo a solo. È lui che semina la fede nel cuore della samaritana e poi dei suoi
compaesani.
Anche
se i discepoli sono andati a comprare del cibo Gesù dirà: “non mi serve, ho un
cibo che voi non conoscete” (Gv 4,32).
v. 9: Allora la donna samaritana gli dice:
“Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna
samaritana?”. I Giudei, infatti, non hanno rapporti con i Samaritani.
La
donna samaritana risponde al desiderio di Gesù. La sua risposta parte da una
ricerca di senso: “come mai?”. C’è una sorpresa nella samaritana: Gesù infrange
delle regole vigenti tra giudei e samaritani. Però l’amore non separa, l’amore
raccorcia le distanze, anzi l’amore di Dio annulla le distanze, Egli stesso,
anzi, per amore, si annulla per coloro che ama, cioè per noi.
v. 10: Gesù le risponde: “Se tu conoscessi il
dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti
chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”.
Gesù va
oltre le regole, mira sull’essenziale: “se tu conoscessi il dono di Dio”. C’è
un dono che viene dall’alto e che certamente non sta dentro il pozzo. Ognuno è alla
ricerca della felicità, dell’amore purtroppo i vari surrogati ingannano. Il dono
di Dio è l’amore assoluto di Dio che il Padre ha per il Figlio, il Figlio per
il Padre, è lo stesso che c’è tra di noi e tra voi e me. È questo il grande
dono che vorrebbe farci! Il Figlio è venuto a
portarci
lo stesso amore del Padre: donare se stesso.
vv. 11-12: Gli dice la donna: “Signore, non
hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva?
Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne
bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?”.
La
reazione della donna parte dall’ultimo elemento: l’acqua. Quale equivoco! Un
equivoco che si scontra con la realtà e che Gesù stesso accoglie perché è
giusto continuare ad attingere per poter arrivare all’acqua viva.
Il
riferimento alla superiorità che Gesù ha nei confronti di Giacobbe, si ripeterà
con altri personaggi: sei più grande di Abramo? (Gv 8,56) e altrove egli viene
messo in contrapposizione con Mosè (6,32). Un tema ricorrente in Giovanni per
risaltare la superiorità di Gesù rispetto ai padri del popolo eletto, senza
togliere nulla a quanto questi furono per la storia della salvezza.
vv. 13-14: Gesù le risponde: “Chiunque beve di
quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non
avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente
d’acqua che zampilla per la vita eterna”.
Gesù
pone la differenza tra l’acqua materiale e Lui stesso. È vero che nel desiderio
dell’uomo c’è il di più ma tutto si porrà sull’elemento dell’avere ancora sete
e del non avere più sete. Come più avanti, Gesù, allo stesso modo contrapporrà
la manna al pane che egli darà (Gv 6,49ss).
Nell’AT
abbiamo un’acqua promessa che avrebbe purificato i cuori (Ez 36,25-27), ma Gesù
non sta parlando di quest’acqua. Ancora, un testo samaritano identificava
l’acqua del pozzo alla Legge. Però la Legge stuzzica la sete, ti mostra ciò che
è bello, ma non ti dona l’acqua che zampilla per la vita eterna.
v. 15: “Signore – gli dice la donna -, dammi
quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad
attingere acqua”.
Ecco
che il desiderio si fa incontro. Anzi ci sta una inversione: se prima era Gesù
a mostrare la sete adesso è la donna. È una inversione che richiama la realtà: Gesù
sa che questa donna, figura della Samaria adultera (cfr. Os 2,7), ha cercato di
placare la sua sete attraverso vie sbagliate: ha avuto diversi uomini, ha
bevuto ogni sorta di acqua, vittima e artefice di amori sbagliati…
Gesù
invita la samaritana a risalire dal pozzo a Dio stesso, al Dio che ama e che
dona. Lo stesso movimento lo chiederà nel capitolo 6 ai galilei per i quali ha
moltiplicato il pane.
vv. 16-18: Le dice: “Va’ a chiamare tuo marito
e ritorna qui”. Gli risponde la donna: “Io non ho marito”. Le
dice Gesù: “Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti, hai
avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto
il vero”.
All’improvviso
quest’imperativo. Cosa c’entra? È la realtà che la donna sta vivendo. Gesù
conosce bene la situazione della samaritana, perché “conosceva quello che c’è
in ogni uomo” (Gv 2,25). Egli legge nella vicenda amorosa disgraziata di questa
donna la vicenda idolatrica dei samaritani con gli idoli stranieri (cfr. 2Re 17).
Vi legge simbolicamente la storia del regno del Nord, Israele, chiamato dai
profeti “donna adultera e prostituta” per l’infedeltà all’unico Sposo, il
Signore Dio, e l’adulterio con gli idoli falsi (cfr. Os 2,4-3,6).
La
risposta della donna sembra il risultato di un discernimento. Questa donna ha
capito che pur avendone avuti cinque di mariti, non ce l’ha, perché nessuno di
questi rappresenta ciò che lei desidera, che sazi il suo desiderio di vita e
d’amore. Ella non ha trovato il vero sposo, sempre fedele nell’amore, anche in
caso di tradimento (cfr. Os 14,5). Gesù sta davanti al popolo dei samaritani
per dire loro che il Signore non li ha mai abbandonati, che vuole attirarli a
sé (cfr. Os 2,16) e celebrare con loro nozze di alleanza eterna. Ecco perché la
samaritana, al di là dell’acqua, deve ancora scavare quel pozzo, per trovare
chi è la fonte, per scovare chi è il donatore che sta dietro al dono.
vv. 19-20: Gli replica la donna: “Signore,
vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece
dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”.
I
Samaritani conoscevano solo i primi cinque libri della Bibbia. Però da questi Libri
hanno appreso che sarebbe venuto un giorno un Messia, un nuovo Mosè (cfr. Dt
18,15). Ora vedendo certe capacità in Gesù si fa avanti, scava il suo pozzo delle
proprie idee religiose: delusa dai beni materiali, delusa dalle relazioni
affettive, si rifugia in un mondo “religioso”, il mondo delle
credenze, forse per trovar requie. Ha capito che l’uomo ha sete di assoluto, di
amore assoluto, di Dio; quindi, pone il problema dell’adorazione.
Adorare
vorrebbe dire “portare alla bocca”, “baciare”; è il modo di gustare l’oggetto
del desiderio, di mangiarlo. L’uomo vive, mangia l’oggetto del suo desiderio e
ne vive. Quindi l’adorazione è ciò di cui viviamo. Ora ci sta chi adora sul
Garizim e chi a Gerusalemme.
vv. 21-22: Gesù le dice: “Credimi, donna,
viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi
adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la
salvezza viene dai Giudei.
La
risposta di Gesù si fa relazione, la chiama donna. Gesù si rivela ed è arrivato
il momento di avere l’unico marito, l’unico sposo. È il momento in cui uno deve
adorare, non secondo il culto dei padri, ma adorare il Padre, scoprire l’amore
del Padre attraverso il Figlio. L’adorazione non è un problema legato ad un
luogo esterno all’uomo, ma l’adorazione è Spirito e verità. Col suo “credimi”,
Gesù invita a fidarsi di lui perché lui è lo sposo.
I samaritani
non lo sanno, la salvezza verrà dai giudei. È il popolo di Giuda che è il
destinatario del disegno di salvezza di Dio, il Salvatore è nato da questo
popolo ma la salvezza è aperta a tutti i popoli.
vv. 23-24: Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i
veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così, infatti, il Padre
vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano
devono adorare in spirito e verità”.
Gesù è
l’ora definitiva. Non è una questione di abolire il culto: la vera preghiera è
possibile solo nella comunione con il Cristo-Verità. Tale luogo di culto è
unico. Qui non ci si ferma più a un popolo in particolare, ma a tutti coloro
che sapranno adorare il Padre in questa nuova dimensione. In Spirito significa
proprio alla presenza dello Spirito che ha rigenerato il credente nel
battesimo. In Verità si riferisce alla rivelazione portata da Gesù:
l’adorazione del Padre richiede l’aver accolto il Verbo, aver riconosciuto Gesù
come il Figlio di Dio.
La
vera adorazione è il cuore dell’uomo che conosce il Padre e l’amore del Padre e
che ama i fratelli. Se no è inutile che andiamo in Chiesa, che andiamo a fare tutte
le nostre pratiche di culto, se non c’è questa adorazione.
vv. 25-26: Gli rispose la donna: “So che deve
venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni
cosa”.
L’attesa
dei samaritani forse era uguale a quella dei giudei (cfr. Es 20,21b, Dt 18,15).
Quale fatica umana? Anche perché chiunque ti fa promesse di felicità ma il
Messia annuncerà ogni cosa, cioè farà capire tutta la verità della promessa di
Dio perché appunto la realizza.
Le dice Gesù: “Sono io, che parlo con
te”.
La
donna si è svelata nella sua miseria, Gesù si svela nella sua verità di Messia,
di Cristo, inviato da Dio.
Gesù
si manifesta apertamente. A nessuno mai si è rivelato in questo modo, se non
alla samaritana. Io sono è il nome di Dio. Io sono è Colui che fa queste cose,
che appaga il desiderio di felicità. È Colui che risponde all’attesa, a quel desiderio
profondo di questa donna.
v. 27: In quel momento giunsero i suoi discepoli e
si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno, tuttavia, disse:
“Che cosa cerchi?”, o: “Di che cosa parli con lei?”.
A
prima vista il versetto sembra qualcosa di più, fuori luogo: nasce e muore lì
rispettando tutta la scena.
I
discepoli che sono arrivati dalla città si meravigliano che lui parli con una
donna e non tanto con una samaritana ma in un mondo nel quale si affermava che
“Chiunque discorre molto con una donna, è causa
di
male a sé stesso, trascura lo studio della Legge e finisce nella Geenna”. Come
pure al tempo di Gesù la tradizione insegnava che “un discepolo dei saggi
non deve parlare con una donna per strada neanche se è sua moglie, sua figlia,
sua sorella”. Ma per Gesù non “c’è più ne maschio né femmina”
(Gal 3,28), c’è la persona umana, che, come tale, merita rispetto e dignità
indipendentemente dalla sua identità sessuale.
v. 28: La donna intanto lasciò la sua anfora, andò
in città e disse alla gente:
Qualcosa
di straordinario è avvenuto nella donna: ella lascia la sua anfora, simbolo di
un’acqua passata per andare dalla sua gente per portare un messaggio inaudito.
Tra i
due termina il dialogo ma ha inizio l’amore, un amore che non si può contenere
ma testimoniato, annunziato.
vv. 29-30: “Venite a vedere un uomo che mi ha
detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?”. Uscirono dalla
città e andavano da lui.
Dinanzi
alla Verità la donna diventa ponte, diventa colei che fa conoscere chi veramente
può dissetare la nostra anima, Colui che ti mostrerà la vera gioia. E anche la
gente insieme alla donna sono ancora una volta invitati a scavare il loro
pozzo: a fare l’esperienza diretta di Gesù e della verità della sua parola. Per
questo escono dalle loro abitudini per andare incontro a Gesù.
vv. 31-34: Intanto i discepoli lo pregavano:
“Rabbì, mangia”. Ma egli rispose loro: “Io ho da mangiare un
cibo che voi non conoscete”. E i discepoli si domandavano l’un l’altro:
“Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?”. Gesù disse loro:
“Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la
sua opera.
Riprende
la scena dal v. 27. I discepoli dopo aver fatto provviste sarebbe il caso di
mangiare. Ma anche qui si rinnova il discorso: non è una questione di acqua o
di pane. Essere discepoli non è una questione di spostarsi da una città
all’altra. Ma vivere come il Maestro, vivere l’unione col Padre nel fare la sua
volontà.
Anche
loro fanno fatica a capire. Anche loro hanno bisogno di scavare il pozzo. Anche
loro hanno bisogno di identificarsi con Dio. Per il momento sembra facile ma
Colui che seguono è il Cristo di Dio, Colui che morirà in croce. Qui ogni
discepolo sarà vero nella misura in cui seguirà il Maestro fino al dono di sé.
vv. 35-36: Voi non dite forse: “Ancora quattro
mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e
guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il
salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme
a chi miete.
Questa
seconda parte del discorso di Gesù ai discepoli li coinvolge nella missione
stessa del Padre e del Figlio. Anche loro sono chiamati ad essere missionari. I
campi sono pronti per essere mietuti. Un bel proverbio per vivere bene le leggi
della natura. Qui però Gesù parla dal punto di vista di Dio: Egli dice infatti,
la semina è già iniziata. Forse possiamo cogliere un simbolo di conversione dei
samaritani che hanno trovato il vero sposo.
vv. 37-38: In questo, infatti, si dimostra vero il proverbio:
uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete
faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica”.
Ora vi
è un cambiamento di prospettiva. Il seminatore e il mietitore che prima
coincidevano ora diventano due personaggi differenti. Il seminatore è Gesù che
ha seminato da solo nel cuore della samaritana. I mietitori sono ancora Gesù e
i discepoli che mietono quello che non hanno seminato. I discepoli sono
chiamati a prendere coscienza di questo, che il loro lavoro missionario altro
non è che una mietitura.
Anche
i discepoli saranno mandati a seminare la parola di Dio, ma essa non viene da
loro, viene dal Seminatore, Gesù.
v. 39: Molti Samaritani di quella città credettero
in lui per la parola della donna, che testimoniava: “Mi ha detto tutto
quello che ho fatto”.
La conoscenza
di Gesù si fa grazie alla testimonianza della donna che per prima ha fatto
l’incontro con Gesù. Si arriva alla fede partendo da una testimonianza anche se
è data da una donna senza alcuna autorità e addirittura appartenente a un
gruppo scismatico. La fede della Chiesa continua a trasmettersi in questo modo.
Frutto di un incontro personale con Gesù, la testimonianza porta l’uditore ad
«ascoltare» la parola per approfondire la fede che la testimonianza ha
suscitato.
v. 40: E quando i Samaritani giunsero da lui, lo
pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni.
L’evangelista
registra un dato storico ma va oltre. Il verbo rimanere nel quarto vangelo ha
una certa frequenza ed esprime una componente essenziale dell’adesione di fede
(cfr. Gv 1,39; 8,31). I samaritani si radunano attorno a Gesù e gli chiedono di
fermarsi da loro. È quella realtà che esprime quella crescita verso una
esistenza sempre più coerente con i valori del vangelo.
vv. 41-42: Molti di più credettero per la sua
parola e alla donna dicevano: “Non è più per i tuoi discorsi che noi
crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente
il salvatore del mondo”.
Ecco
lo sbocco finale del percorso dei samaritani. Ascoltando Gesù i samaritani
comprendono che quest’uomo è molto più di ciò che essi speravano. Essi ora
sanno chi è e fondano la loro vita sulla persona e sulla parola del Salvatore
del mondo. I samaritani comprendono che la “salvezza” viene dai giudei,
e forse le loro stesse parole esprimono il desiderio di riconciliarsi con i
giudei. Essi riconoscono in lui il Messia atteso, nell’intuizione che la sua
missione salvifica si rivolge a tutte le genti e non solo ai giudei, anche se
ha avuto inizio con l’esperienza dei giudei.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere
la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro
con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la
vita e la interpella

Di che
cosa ho sete? Dove vado a cercare acqua per calmare la mia sete? Sono alla
ricerca dell’unico Sposo?
Cos’è
stato nella mia vita “il dono di Dio”?  
Quali
sono le persone che mi hanno annunciato Cristo, che mi hanno accompagnato fino
ad aderire a Lui nella fede?
Nel
mio piccolo, come la samaritana, annuncio Cristo?
 
Rispondi a Dio con le
sue stesse parole
(Pregare)
Venite,
cantiamo al Signore,
acclamiamo
la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci
a lui per rendergli grazie,
a lui
acclamiamo con canti di gioia.
 
Entrate:
prostràti, adoriamo,
in
ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui
il nostro Dio
e noi
il popolo del suo pascolo,
il
gregge che egli conduce.
 
Se
ascoltaste oggi la sua voce!
«Non
indurite il cuore come a Merìba,
come
nel giorno di Massa nel deserto,
dove
mi tentarono i vostri padri:
mi
misero alla prova
pur
avendo visto le mie opere». (Sal 94)
 
L’incontro con l’infinito di Dio è
impegno concreto nella quotidianità
(Contemplare-agire)
Anche
noi, scavando al pozzo, facciamo il nostro incontro con il vero e unico Sposo
perché ci sveli la nostra vita vivendo con fede, da innamorati, la nostra
quotidiana esistenza continuando nel tempo la stessa missione di Gesù.



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